Tra bunker e gallerie della Guerra fredda: così si difendeva il confine orientale

Costruire ai tempi della Guerra fredda, di Roberto Petruzzi e Livio Petriccione è il volume edito da Forum che sarà presentato oggi, lunedì, 21 sulla pagina Fb di Daniele Puntel in collaborazione con Circolo Nuovi Orizzonti Arci Udine Rizzi, il gruppo Indemoniâs di mont! e Forum. Dopo un'introduzione storica di Tommaso Piffer, Puntel dialogherà con gli autori Petruzzi e Petriccione. Ecco la presentazione del volume da parte degli stessi autori.
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Questo libro affronta le tematiche architettoniche e costruttive delle fortificazioni militari realizzate durante la cosiddetta “guerra fredda”, concepite come un sistema “diffuso e continuo” di strutture difensive che ha fortemente connotato il contesto territoriale-paesaggistico del Friuli Venezia Giulia. Nel nostro paese il Demanio militare impegna circa 783 chilometri quadrati di territorio.
Le regioni più interessate da questo fenomeno sono la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia, infatti: «in Friuli Venezia Giulia ci sono 102 chilometri quadrati destinati ad attività militari, pari a più di due volte e mezza la superficie della città di Pordenone».
I paesaggi della guerra fredda rappresentano l’esito finale di una stratificazione di opere militari leggibili diacronicamente in funzione dagli eventi storici che, di volta in volta, hanno modificato il confine orientale italiano; opere funzionali alle diverse strategie belliche messe in atto: nel primo conflitto mondiale la “guerra d’attacco e di posizione”, nel secondo conflitto mondiale la “guerra di movimento” e infine la “guerra totale”.
Più recentemente, nella “guerra fredda”, la rete di fortificazioni si adeguò ai mezzi corazzati e agli armamenti attuali, che prevedevano anche l’utilizzo di armi nucleari logistiche.
Da qualunque punto di vista lo si osservi, un territorio è caratterizzato dal suo confine, linea che lo definisce, racchiudendolo nel suo contorno e separandolo così dal “tutto”, dallo “sfondo”, oggettivando i processi di territorializzazione che trovano corrispondenza nelle diverse culture. Territorializzazione che in ogni istante del suo processo rende intelligibile una distinta rappresentazione del paesaggio naturale o antropizzato, dando origine a quella stratificazione di significati che può essere letta dall’uomo che lo abita come figurazione delle proprie aspirazioni, finalità o aspettative.
La ricerca promuove anche una riflessione sul patrimonio di tali opere nella prospettiva di un loro recupero e riuso, affronta le complesse problematiche tecnico-architettoniche, gli strumenti, le componenti materiche e le tecnologie utilizzabili per una rilettura in chiave contemporanea dei bunker, che non potrà prescindere dalla considerazione del loro ruolo storico, territoriale, semantico e identitario.
Emerge che tali manufatti hanno in sé una fortissima, ineudibile carica evocativa. Intervenire su di essi significa quindi in ogni caso dialogare con la storia e con la memoria individuale e collettiva. Sono queste infatti “architetture parlanti” e il loro recupero significa innanzitutto trovare la maniera di ascoltare in modo attento e rispettoso la loro voce.
«Ora i percorsi di mountain bike serpeggiano infatti fra i vecchi bunker, e i parapendio di giovani italiani, sloveni e tedeschi si librano leggeri sopra i resti di quelle trincee e di quelle feritoie da cui, nascosti e diffidenti, per lunghi anni, altri giovani si erano nel migliore dei casi spiati».
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