Tra forbici, follia e risate Max Pisu: «Un giallo in cui coinvolgiamo il pubblico»
Il comico protagonista in scena con Nico Formicola: «Una commedia assai divertente e piuttosto trafficata»

Fa un certo effetto sentir parlare di oratorio, un luogo ormai antiquato, smembrato dalla gioventù tiktoker e da una modernità poco propensa a radunare anime perse. È Max Pisu a riavvolgere il tempo fino al principio della sua storia d’amore con il palcoscenico, illuminata proprio all’oratorio, «un posto ben guidato da don Enrico, che ne ha salvati di giovinastri ormai destinati all’indifferenza», racconta lui.
Il cabarettista/comico lombardo ricorda le sue origini con affetto e ci svela il recente sposalizio teatrale con Nino Formicola, il Gaspare della nota coppia. E i due, sotto lo sguardo premuroso di “Artisti Associati” di Gorizia, assieme a Giancarlo Ratti, Lucia Marinsalta, Roberta Petrozzi, Giorgio Verduci (regia di Marco Rampoldi) hanno ridato colore a una commedia americana di Paul Pörtner di un sessantina d’anni, però sempre piena di energia — “Forbici&Follia” — già in scena nel 2014 e di nuovo sulle tavole perché ne vale davvero la pena.
Il tour, a cura dell’Ert, prevede spettacoli il 25 marzo a Spilimbergo, il giorno seguente a Sedegliano e il 17 aprile a Zoppola, capolinea della stagione.
Allora Max, il suo Tarcisio viene su da quegli anni vissutI all’ombra della chiesa?
«L’ho un po’ enfatizzato, Tarcisio, ma è così. Come don Dante non è Dante bensì Enrico, come dicevo prima. Un periodo prezioso per tutti noi e una palestra che si è resa necessaria per poi affrontare le intemperie del cabaret vero. Ogni oratorio aveva il suo piccolo teatrino e lo offriva ai temerari. Un salvagente prezioso. Un punto di riferimento che andava ben oltre la fede».
Poi lei riuscì a saltare quella fase di studio e di sacrifici e…
«Infatti, se non mi fossi fatto a pezzi e non avessi studiato sarei rimasto dov’ero. Allora non era una passeggiata incontrare il pubblico. Se non scattava la risata ti lanciavano i posaceneri. Affrontai di petto un decennio di locali prima di arrivare a “Zelig”. Non sempre gli spettatori ti apprezzavano ed era dura proseguire».
Facciamo un pit stop col passato e veniamo a noi: “Forbici & Follia”
«Una commedia assai divertente e piuttosto trafficata. Umanità varia abita un salone di parrucchiere. Un bel giorno, anzi un brutto giorno, la signora anziana che viveva sopra il negozio, viene fatta fuori. E il commissario Formicola pensa che l’assassino deve per forza essere passato da quelle parti prima di salire. Il fatto curioso è il coinvolgimento del pubblico, che poi è l’essenza della novità».
Spieghi meglio Max.
«Lo scopo è identificare l’assassino della vecchia, chiaramente. Per raggiungere la meta è fondamentale avere più occhi, i canonici due non bastano mai. Quindi gli spettatori diventano protagonisti aggiunti, ognuno con una propria idea del fattaccio. Intervenire è fondamentale, solamente con tante storie raccolte verrà fuori quella giusta. Alla fine, tornati dentro la commedia canonica, come se avessimo chiuso la quarta parete, ci sarà la confessione dell’assassino».
Se ho ben capito ogni sera è una performance diversa?
«Oh certo. L’improvvisazione è il nostro alleato. Il commissario Formicola durante l’intervallo gira fra le poltroncine in cerca di appunti interessanti da prendere. Riportando sul palco una specie di sentenza. La gente sembra divertirsi con questo format molto attraente, anche se non dovrei dirlo io. In qualche regione italiana la timidezza ha prevalso, poi — però — il coinvolgimento è stato totale».
Esiste ancora il cabaret?
«Ce ne sono pochi, per la verità. Qualcuno lo frequento ancora, anche se la mia nuova dimensione è il teatro. Cosa vuole, è stato tutto stravolto. A noi davano sette minuti per la tirata comica, adesso a malapena te ne concedono tre. Si corre, nessuno pensa a rallentare».
Lei come si sente rispetto alla comicità?
«Sono un artista di un’altra epoca. I giovani ridono di cose diverse rispetto alle mie. Non è facile generalizzare. Una cosa la vorrei dire: negli anni Novanta quando entravo in scena cercavo di guardare il pubblico ed erano tutte persone sorridenti e sembrava ti dicessero: dai forza, siamo con te. Adesso li guardo e hanno un’espressione triste e, se possono, mentre ascoltano guardano il telefonino. Talvolta s’intravedono dal palco le luci soffuse dei cellulari in piena azione. Ma questo è l’oggi».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto