Tra paure e fughe in avanti Udine è la capitale del Friuli

Una capitale distinta e distante che però si sta reinventando, pur tra molte difficoltà. Dal secolo XIII a oggi Udine è sempre stata «capitale del Friuli storico», come si legge nel primo comma dell’articolo 1 dello Statuto del Comune, ma il suo rapporto con il resto della «Patrie» non è mai stato semplice e lineare. Le radici di questa complessità non si esauriscono nella semplice dialettica tra città e contado, ma sono più profonde. È ragionevole sostenere, infatti, che dal 1420 Udine è capitale del Friuli «necessariamente» in antitesi al Friuli. Da allora, pur nella diversità dei contesti istituzionali, politici e amministrativi, è una capitale «coloniale», come «coloniale» è definito il dialetto che distingue il centro città e come «coloniale» è l’approccio che è stato mantenuto, a lungo e in netta prevalenza, dalle sue classi dirigenti nei confronti di tutto ciò che è friulano.
Questa tendenza è stata particolarmente rilevante negli ultimi due secoli e ha trovato la sua sintesi in quelle visioni di Friuli, che ruotano attorno all’idea sostanzialmente antifriulana di «piccola patria» e in cui si possono riconoscere i tratti distintivi di quel pensiero, nel contempo risultato e fondamento dell’interazione tra la capitale «coloniale» e il contado «colonia», che Tito Maniacco ha definito «ideologia friulana».
In questo quadro, per fortuna, c'è stato anche dell’altro, proprio a Udine e in relazione positiva con il resto del Friuli. Esemplari, in tal senso, il pensiero profondamente friulano e senza confini degli udinesi Achille Tellini e Felix Marchi, l’autonomismo postbellico, le mobilitazioni per l’Università, la nascita e alla crescita di Radio Onde Furlane e la rivoluzione culturale rizomatica e creativa di Usmis. Per non parlare della svolta generale che ha segnato la fine del Novecento, al termine della Guerra fredda e nella prospettiva liberatrice dell’Europa «unita nella diversità».
Negli ultimi decenni, così, Udine è diventata una capitale «post-coloniale», in bilico tra passato e futuro. Per un verso è più aperta al mondo e pertanto anche al resto del Friuli, è più friulana e quindi più europea. Per l'altro, soprattutto da un paio di anni, manifesta nuovamente vecchie paure della diversità e quindi della friulanità. Così tentenna, tra la ragionevole aspirazione a essere come Barcellona, Bilbao, Cardyff, Donostia/San Sebastian, Leeuwarden/Ljouvert, capitali «speciali» di territori «speciali», e l’irrazionale ostilità nei confronti di tutto ciò che è «altro», nella quale si ritrovano sia l’esplicito timore dell’«uomo nero» sia un cosmopolitismo provinciale e di maniera, che si riempie la bocca di multiculturalità e diritti, ma mal sopporta l’esistenza di quella lingua usata anni fa per dire no al razzismo con la frase «Nô o sin blancs, ma la nestre lenghe e je nere».
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