Tremila sotto pioggia e vento per i grandi King Crimson partiti tardi, ma che concerto

Gabriele Giuga
Chissà se è più la nostalgia o la curiosità a far arrivare più di tremila persone, sabato sera a Palmanova, per il concerto dei King Crimson, prima tappa italiana di un tour che celebra 50 anni di carriera. Chissà perché non basta la pioggia a fermare il popolo dei fan, né i chilometri da macinare in macchina, l’attesa ordinata in fila, un caffè o una birra dov’è possibile perché comunque, qualche bar ha deciso di sospendere il servizio, sperando magari di fare qualche incasso in più ai tavoli.
«Non c’è una ragione» dice Marko, quarant’anni di Pola qui con il figlio quattordicenne, «li ascolto da quand’ero ragazzo e ora li ascolto con mio figlio, la scorsa settimana eravamo a Firenze per Ed Sheeran, idolo di un altro mio figlio, due anni di differenza e così diversi!».
È anche questo il popolo della musica, che spera contro tutte le previsioni – la pioggia nel frattempo ha preso il sopravvento il concerto tarda ad iniziare, ma non fa niente si aspetta – «starò qui finché non iniziano» dice Beatrice, faccia pulita, piglio da guerriera, è determinata a non mollare, arriva da Treviso, «lì si fa molto meno» dice, il “suo” tour segue i King, ha già i biglietti per tutte le quattro date. Sono di Treviso, anche Elena ed Enrico che con un altro Enrico seguono tutto quello che c’è in giro, di frontiere, limiti, freni non ne vogliono sapere. E poi c’è la storia romantica di una coppia davvero tenerissima, lui lavora a Trieste nell’albergo dove i King Crimson alloggiano, il biglietto gratis succede una volta nella vita, e allora vai, qualunque cosa succeda.
E succede di tutto, sembra che la pioggia li abbia sentiti, perché a pochi minuti dall’inizio del concerto smette, di colpo. Qualche secondo e ritorna più forte di prima accompagnata da un vento che l’aiuta a infilarsi dappertutto. Sul palco si teme per i cavi e gli impianti, nel back stage si studia una scaletta più agile. Si aspetta, si commenta, si spera. Quando la sicurezza toglie i varchi, qualcuno prende la via di casa, ma poi il contrordine. Come un esercito ben addestrato, i fan si riemettono in fila, i bar si svuotano, in pochi minuti il centro della piazza è colmo, si incrociano, sguardi e parlate, qualcosa in sloveno, un saluto in tedesco. Solo la musica riesce a fare di tanti popoli un’unica gente, i ragazzi passano per primi, gli ombrelli sono vietati, così come le foto. «Registrate con le vostre orecchie filmate con i vostri occhi» chiedono dal palco i King, ma davvero non fa niente. Perché poi, alle 22.30, la musica inizia, un impatto fragoroso, i King Crimson ci hanno abituati a esperienze non da poco. Il benvenuto lo dà Pat Mastellotto, solidissimo, che Gavin Harrison e Jeremy Stacey forma un drumset siderale, che sarà il vero nervo del concerto. Poi “Pictures” e “Circus” e il pubblico vola, governati dalla voce di “King” Fripp. La piazza è grande, l’acustica un po’ ne risente perché con l’aria umida cambia tutto. Tony Levin sostiene i classici “Epitaph” e “Moonchild”, Il sax di Mel Collins completa ricordi che hanno cinquant’anni, ancora vivacissimi. Ma quanta musica ci siamo persi negli anni ’70? —
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