Udine celebra Gino Valle: dodici opere dell’architetto che amava sperimentare

A cento anni dalla nascita una rassegna a Casa Cavazzini ricorda il celebre progettista friulano. Il figlio Pietro: «Ci ha lasciato la sua idea del lavoro come forma di esplorazione del mondo»

Elena Commessatti

UDINE. L’occasione è una data: 7 dicembre 2023, a cento anni dalla sua nascita. Stiamo parlando di Gino Valle (1923-2003), architetto e designer, nato a Udine e famoso in tutto il mondo.

Un professionista dal talento innovatore. La sua città lo ricorda in questi giorni speciali con una mostra ricca di originali, “Gino Valle. La professione come sperimentazione continua”, che nasce da un progetto didattico curato dalla prestigiosa Accademia di Architettura di Mendrisio, e nello specifico dai professori Francesca Albani e Franz Graf insieme ai propri studenti, in collaborazione con l’Archivio Studio Valle di Udine.

Per l’occasione abbiamo incontrato il figlio Piero, architetto.

Il titolo è progettuale e concreto: “La professione come sperimentazione continua”. Come nasce?

«La mostra nasce all’interno di un’occasione. Sei anni fa Francesca Albani e Franz Graf, docenti all’Accademia di Architettura di Mendrisio, mi hanno contattato per una rilettura delle opere di mio padre, attraverso un corso tematico.

Sono stato contento di far conoscere il suo lavoro a un pubblico giovane, agli studenti, e poi l’Accademia di Mendrisio è una scuola internazionale, seria. Così in questi anni gli studenti sono arrivati qui nei semestri, ho tenuto alcune lezioni, ho aperto l’archivio, ne è venuto fuori un progetto che ha portato ad analizzare dodici architetture principali. Ed è arrivata l’idea di un possibile libro…».

Ora siamo nella fase mostra …

«È un progetto ampio. Nasce infatti con la mostra che si inaugura il 7 dicembre, nel giorno del compleanno di papà, e poi si sviluppa durante il 2024. A fine febbraio presenteremo sempre a Udine il catalogo/libro con i risultati del progetto didattico, e a fine aprile verrà organizzato un convegno».

Come si sviluppa l’allestimento a Casa Cavazzini?

«Le opere analizzate come dicevo sono dodici, e sono tra le più note, coprono un arco temporale che va dal 1950 al 1970. Sono state divise in tre categorie. La prima, “Architettura e luogo”, analizza come mio papà, pur con un linguaggio dell’architettura moderna, ha sempre cercato un dialogo con la città non mimetico, non pittoresco. Di contrasto, ma di relazione.

L’altro è “Architettura e società”, e mostra come ha interpretato i temi della società del suo tempo, l’Italia del boom e della ricostruzione: sono rappresentate le scuole, le case per tutti, l’architettura di rappresentanza per la nuova industria.

Il terzo si chiama “Architettura e modularietà” e racconta come mio padre sia stato tra i primi a nobilitare le tecnologie seriali e modulari, la prefabbricazione, portandola anche all’interno dell’architettura civile, anche in rapporto con il design».

Dodici progetti dicevamo.

«Sono tra i più celebri. Ricordiamo ad esempio il Monumento alla Resistenza di Piazzale XXVI luglio, la casa Talmone di via Mercatovecchio, sempre a Udine, le case popolari alla Giudecca a Venezia, la sede della Banca Commerciale Italiana a New York, la casa Pozzi-Migotto, realizzata negli anni Cinquanta a Pasian di Prato, vicino a Udine, insieme a suo padre Provino e a sua sorella Nani.

E poi c’è la Fantoni ad Osoppo, gli uffici Zanussi a Porcia, la sua prima opera in cui da giovane si fece conoscere internazionalmente. La cosa interessante è che del Monumento alla Resistenza c’è tutta la sequenza in mostra, dal concorso alla realizzazione.

Per questo abbiamo pensato a una specie di quadreria all’interno di Casa Cavazzini. E dunque questa esposizione presenta materiali originali, soprattutto disegni, che sono messi in teche o in tavoli luminosi, e i plastici degli studenti, spesso con le varie sezioni visibili, in dialogo con i disegni.

Non è monografica; analizza il suo lavoro da un punto di vista costruttivo, rispetto al luogo, alla funzione rappresentativa sociale, alle tecnologie. Non è un’esposizione ad hoc, è nata come lungo progetto di studio. Mi sembrava giusto presentarla a Udine nel giorno del suo compleanno».

Domanda intima: qual è l’eredità di suo padre?

«Mio padre non lascia certezze, né un linguaggio unitario. Lascia l’idea dell’architettura come forma di esplorazione del mondo. Ogni progetto deve inventarsi le sue regole, le sue coordinate. Dare risposte.

Per cui, dati una serie di strumenti, come ad esempio il rapporto con il luogo, la rispondenza costruttiva e funzionale, ogni progetto deve inventarsi le proprie relazioni. Questo evita linguaggi formali unitari. Mio papà non mi ha dato certezze, ma la curiosità di interrogare la realtà. L’architettura come forma di avventura nel mondo».

L’esposizione “Gino Valle. La professione come sperimentazione continua”, curata da Francesca Albani e Franz Graf, in collaborazione con l’Archivio Studio Valle di Udine, ha il patrocinio dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Udine e di Confindustria Udine; sponsor tecnico Fantoni. Resterà aperta fino al 28 aprile 2024; per info, tel. 0432 1273772, www.civicimuseiudine.it.

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