Un docu-film racconta la storia del grande alpinista Riccardo Bee

Melania Lunazzi

Verrà proiettato questa sera alle 21 a Pordenone all’Arena Hera di Largo San Giorgio (in caso di pioggia a Cinemazero) “L’ultima via di Riccardo Bee” il documentario del giornalista, documentarista e alpinista veneto Emanuele Confortin che si è guadagnato all’ultima edizione del Trento film festival il premio del pubblico come miglior film di alpinismo.

Figura tanto titanica quanto schiva e poco nota dell’alpinismo, Riccardo Bee (1947-1982), coetaneo di Renato Casarotto e dei nostrani Angelo Ursella e Enzo Cozzolino, ha espresso ai più alti livelli il senso dell’alpinismo solitario e di ricerca. Il suo nome è rimasto indelebilmente associato a una montagna straordinaria e selvaggia, il Monte Agnèr, nelle Dolomiti Bellunesi. La sua morte, avvenuta in montagna durante una salita solitaria invernale negli ultimi giorni del 1982, ha lasciato un grande vuoto nei cuori dei tanti che lo amavano e che il film di Confortin prova a riempire attraverso gli sguardi e le testimonianze di quei familiari e amici, come in parte aveva fatto nel 2014 il libro del goriziano Marco Kulot e di Angela Bertogna Riccardo Bee, un alpinismo titanico.

Confortin, dopo i documentari di taglio sociale, come Venezia durante la quarantena, e quelli sulla rotta migratoria in Pakistan e in India ora un documentario alpinistico.

«Anche molti di quei documentari erano ambientati in un contesto di montagna e io sono un alpinista per passione. Con questo progetto ho potuto coniugare la storia dell’alpinismo delle Dolomiti alla passione per le scalate. In generale, ho sempre voluto raccontare delle sfide, quelle di chi fugge dalla guerra come quelle di chi si mette alla prova per fare i conti con sé stesso: alla base dei miei lavori c’è sempre stata una criticità.

E nel caso di Bee quali criticità ha messo a fuoco?

«Ho messo l’accento sulle conseguenze umane e di vita che l’arrampicata estrema impone a chi rimane a casa. Il mio film racconta l’umanità e in particolare quella dell’universo femminile di Riccardo, la moglie Carla e le due figlie Federica e Valentina: una stava per nascere e una aveva otto anni quando è mancato. Loro erano legate metaforicamente in cordata con Riccardo: Carla è diventata in questo senso la capocordata di famiglia, crescendo da sola due figlie piccole».

Come si è imbattuto nel personaggio Bee?

«Nel 2000 ho iniziato ad arrampicare e mi han fatto conoscere l’Agner, in Valle di San Lucano. La parete Nord è la più alta delle Dolomiti, 1.500 metri di slancio e mi ha stregato. Bee è stato l’unico ad affrontare la parete Nord in inverno e in solitaria, tentando di aprire una via nuova. Aveva una forza mentale straordinaria anche solo per concepire tale progetto. L’ho studiato e ne ho subito la fascinazione, misteriosa».

Nel film si vedono begli spezzoni d’epoca, ma anche lei ha affrontato fisicamente la famosa via di Bee sull’omonimo pilastro dell’Agner e vi ha girato immagini spettacolari.

«Ci sono voluti tre mesi di tentativi da giugno a settembre prima di salire la via di Bee in cordata. Ci siamo riusciti nell’ultima finestra di bel tempo dopo la quale sarebbe arrivata la neve che avrebbe precluso ogni possibilità di tornare a fare quella via, ma il lavoro senza la via sarebbe stato diverso».

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