Una raccolta di saggi per analizzare il pensiero e le opere di Pier Paolo Pasolini
Il volume curato dallo studioso e filologo Franco Zabagli. Al centro del lavoro la produzione poetica e cinematografica
Che l’anniversario dei 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini non sarebbe passato in sordina, era ampiamente previsto e le moltissime iniziative che lo celebrano in tutta Italia stanno a confermare quello che molti avevano anche temuto, ossia un eccesso di iniziative, molte delle quali destinate a promuovere più che approfondimenti e/o riflessioni sulla figura e l’opera del poeta di Casarsa, gli organizzatori stessi e i loro interessi di bottega.
Col pericolo di una infornata indiscriminata e superficiale di celebrazioni grandi e piccole a seconda dei budget e inutilmente fini a se stesse.
Ed è significativo che, ad esempio, tra i tanti teatri e festival che si accingono a ricordare Pasolini, tra cui anche il nostro Stabile regionale, nessuno (felice di essere smentito!)abbia in cantiere la messa in scena di uno dei suoi sei drammi: che proprio perché “difficili” avrebbero meritato un’attenzione maggiore.
Il che sarebbe stata cosa più che meritoria anche perché avrebbe costretto a un confronto sul teatro e sul come Pasolini lo intendeva, oggi più che mai necessario, visto il riaffermarsi massiccio di quel “teatro di parola”, al quale aveva dedicato nel 1968 il “Manifesto per un Nuovo Teatro”, al solito illuminante e provocatorio. Sarà per un altro anniversario!
Intanto spuntano come funghi pubblicazioni che lo hanno per oggetto.
Alcune pretestuose, altre meritorie, nel senso che affrontano con serietà aspetti particolari della produzione artistica di Pasolini, che come è stranoto va dalla poesia al cinema, dalla saggistica alla scrittura giornalistica, dalla letteratura al suo superamento in quel libro incompiuto che è “Petrolio” e col quale Pasolini si proponeva di superare la forma romanzo per arrivare a una sorta di “pastiche” che coniugasse attualità, memoria storica, giornalismo e invenzione per raccontare la contemporaneità e al tempo stesso indicare i possibili sbocchi in un futuro dai contorni molto incerti per l’umanità intera.
Tra queste ultime “Filologia minima su Pasolini e altro” (Ronzani editore), un volume dello studioso e filologo Franco Zabagli, curatore presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze dell’archivio dei manoscritti di Pasolini, di cui ha curato l’edizione completa degli scritti cinematografici per i «Meridiani» Mondadori.
Il volume raccoglie una serie di saggi, che passano sotto la lente del filologo, ossia del critico che studia i testi in sé e nel confronto con altri, al fine di renderli nella loro autentica essenza, alcuni aspetti dell’attività artistica e dell’esperienza umana di Pasolini.
Così l’analisi dei vari interventi che Pasolini ebbe sulla sceneggiatura di “Le notti di Cabiria” di Fellini che lo chiamò a collaborare nel 1956, oggetto del primo saggio del libro di Zabagli “Pasolini per Fellini”, descrive il rigoroso apprendistato di Pasolini al cinema, base di tutta la sua attività sia come regista che come teorico della settima arte.
In “Paesaggi del dopostoria” si delinea il percorso poetico accompagnato da un appassionato furore critico che porterà Pasolini al suo radicale disincanto sul futuro del mondo e della società neocapitalista. Che ritorna anche in “Storie di barbari (e fantascienza) tra Anna Banti e l’ultimo Pasolini”.
Belle suggestioni Zabagli riserva al lettore poi in un confronto tra Pasolini e Leopardi, come è prodigo di informazioni su “Mamma Roma” e i tre episodi “La ricotta”, “La terra vista dalla luna” e “Che cosa sono le nuvole”.
Ma forse il saggio più bello e stimolante è “Pasolini e la ‘zoventut’: motivi e figure” in cui con arditi cortocircuiti si parla di corpo e narcisismo, dell’identificazione che Pasolini stesso ebbe con il corpo dei suoi personaggi fino ad abbandonarsi, una volta imbarbariti nell’omologazione consumistica tutti i miti della giovinezza - dai fantazuts friulani ai giovani borgatari e a quelli del terzo mondo - alla solitudine disincantata della torre di Chia, ultimo suo eremitaggio, assai ben evocata nella nudità dei ritratti del fotografo Dino Pedriali.
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