L’uomo che resta, il romanzo ecologista: un’avventura epica dal neolitico ad oggi

Marco Niro racconta tre storie sul cambiamento climatico: «Uominità inquieta che va alla ricerca di qualcosa d’ignoto»

Oscar D'Agostino
Il giornalista e scrittore Marco Niro e il suo ultimo romanzo "L’uomo che resta"
Il giornalista e scrittore Marco Niro e il suo ultimo romanzo "L’uomo che resta"

Un’avventura epica che, nel segno del cambiamento climatico, unisce a doppio filo la preistoria, i giorni nostri e un domani lontano, ma non troppo: è L’uomo che resta, di Marco Niro (Les Flâneurs Edizioni), il secondo romanzo giornalista e scrittore, fondatore del collettivo di scrittura Tersite Rossi.

Il romanzo è ambientato in tre epoche diverse. Si apre nel paleolitico, dove il clima è glaciale e una piccola banda di cacciatori-raccoglitori tenta di sopravvivere.

Poi si passa ai giorni nostri: il clima si surriscalda, ma l’umanità non sa trovare la risposta al problema. Due archeologi, Bruno e Glenda, provano a cercarla sottoterra. La loro tenacia li condurrà a un’antica verità sepolta. Infine il salto nel futuro, fra alcuni secoli: il clima si è fatto torrido, ma gli abitanti di Gilanos hanno imparato a conviverci.

C’è un filo rosso che unisce le vicende, come spiega l’autore: «In questo romanzo passato, presente e futuro si alternano costantemente, intrecciandosi in modo sempre più stretto e svelando sempre più chiaramente il filo rosso che unisce le tre vicende, dando vita a un’unica storia che finisce per sovrapporsi, come una metafora, a quella dell’uomo. I personaggi, seppur appartenenti a epoche diverse, vivono le medesime situazioni, spinti dalle medesime motivazioni: inquieti, vanno alla ricerca di qualcosa d’ignoto che, quando finalmente viene scoperto, inizia a muovere meccanismi più grandi di loro, costringendoli ad affrontare, nel lungo periodo, cambiamenti sconvolgenti e pericoli in grado di condizionare la loro stessa sopravvivenza».

Già nel precedente romanzo, “Il predatore”, una sorta di giallo, Marco Niro aveva posta l’attenzione al rapporto tra uomo e ambiente. «L’uomo che resta ragiona costantemente sulla necessità di bilanciare il desiderio di scoperta e conquista insito nella natura umana con l’accettazione dei limiti ecologici, intesa come unica via di salvezza, per quanto lastricata da una dimensione tragica».

Tra crisi climatica e intelligenza artificiale, il nuovo romanzo si presenta quindi come una vicenda attuale. «In effetti lo è, ma non l’ho scritto per cavalcare l’attualità. Le tematiche ambientali, intrecciate a quelle sociali, sono da sempre di mio interesse, sia professionalmente che soprattutto come cittadino. La spinta per scrivere questo romanzo, tuttavia, me l’ha data la lettura di un altro libro, uscito ormai dieci anni fa, “La grande cecità” di Amitav Ghosh. In questo suo testo, il grande antropologo e scrittore indiano ha osservato che il cambiamento climatico dovrebbe essere la principale preoccupazione degli scrittori di tutto il mondo. Eppure, ancora oggi, quasi nessuno lo rende oggetto di narrazione».

La principale ragione «di questo disinteresse sta, secondo Ghosh, nella tendenza della cosiddetta letteratura seria a marginalizzare elementi quali l’improbabile, gli interlocutori non-umani, gli ampi spazi e i lunghi tempi, la natura, la dimensione collettiva e la dimensione visiva. Ghosh sostiene che, solo facendo di questi elementi i pilastri delle loro narrazioni, gli scrittori saranno in grado di raccontare ciò da cui dipende la stessa sopravvivenza della nostra specie. Nel mio piccolo ho cercato di rispondere a questo appello e di dare il mio contributo».

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