Vattimo: «La crisi della razionalità e la fine delle ideologie»

CORMONS. A CormònsLibri di scena questo pomeriggio alle 17.30, “il pensiero debole”. Vale a dire quella corrente filosofica che sul finire del secolo breve ha raccolto la sfida della postmodernità, quando tutti sistemi - campioni del “pensiero forte” - il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo - avevano mostrato i loro limiti di fronte a una società e a un mondo in continuo sviluppo. A parlarne i due maggiori esponenti italiani Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti. Abbiamo sentito il primo, una lunga carriera all’Università di Torino, eurodeputato e assai attivo sul fronte delle lotte per i diritti civili.
. - Professore che cosa ha rappresentato il pensiero debole nel panorama culturale e sociale di questi decenni?
«È stata principalmente una presenza polemica, anche di una certa popolarità legata al termine e all’idea. Al di là di questo, però, è stata la presenza di un pensiero vicino a un’idea di società non diretta da un’unica verità dogmatica, ma da molteplici interpretazioni. Questo significa che il pensiero debole è un pensiero che trova illeggittimo ogni atteggiamento che imponga una verità ufficiale».
- Questo al suo apparire, e oggi?
«Oggi, visto il contesto segnato dalla crisi della razionalità e dalla fine delle ideologie, possiamo dire che il pensiero debole ha trionfato. È diventato il pensiero, ad esempio, che si oppone al governo tecnico, all’idea cioè che ci sia un’unica politica possibile che è quella scientificamente raccomandata dagli economisti e grandi entità finanziarie. Pensiero debole oggi è insistere sul fatto che nessuno può dirsi proprietario della verità valida per tutti ma che esistono molte interpretazioni che devono confrontarsi e accordarsi tra di loro, ma non in nome di una verità oggettiva. Non è che la mancanza di un verità assoluta danneggi l’esistenza sociale, probabilmente è vero il contrario: quelli che si arruolano nell’Is certamente non sono pensatori deboli».
- Senza un’idea che disegni il futuro, come è stato con i sistemi filosofici del passato, non c’è il rischio di brancolare nel buio?
«No, e faccio un esempio. Prendiamo il pensiero cristiano: conta più la carità o la verità? Applicare il principio dell carità è un pericolo? Certamente no! La verità assoluta invece spesso è sfociata nel dogma, in persecuzioni, vessazioni e fanatismo. Siamo una molteplicità di soggetti con visioni diverse, solo mettendoci d’accordo, possiamo salvarci. Oggi il pensiero forte è quello di chi ha la forza di imporre un’unica visione, mentre il pensiero debole è alla base di una società autenticamente democratica».
- Lei è stato marxista, posizione che ha superato con la teorizzazione del pensiero debole. Qualche anno fa però ha scritto un libro, “Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era” (2004), in cui si riapproccia la pensiero marxista. Come?
«Attraverso l’idea del pensiero debole come pensiero dei deboli, dei deboli del mondo. Problema vero è che stare con i deboli presuppone disponibilità a nuove aperture, soprattutto al futuro. Cosa che i conservatori temono. La filosofia cura mali, quali l’assolutismo, il fanatismo: è un addestramento alla critica».
Gianni Vattimo sarà a Udine per dialogare con Tommaso Cerno il 18 dicembre a “Bandus, quarto avamposto di Udine 1915 - 2018”, la manifestazione del Comune nell’ex caserma Osoppo.
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