Venezia avanza e conquista tutto: in breve fu il collasso della Patria

Il dissidio tra Cividale e Udine e le divisioni nel ceto dirigente friulano tra le cause della fragilità

La guerra tra la Repubblica di Venezia e il re d’Ungheria e imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo di Lussemburgo, che porterà nel 1420 alla caduta del potere del patriarca di Aquileia, riprese nel 1418 senza che da parte friulana si fossero risolte le principali cause di fragilità della compagine patriarcale: il dissidio atavico tra le città di Cividale e Udine per la primazia sul territorio e le divisioni fazionali interne nel ceto dirigente friulano, in particolare tra la feudalità e le comunità rappresentate nel Parlamento della Patria. Entrambe si riveleranno esiziali.

Se l’antagonismo udinese-cividalese aveva radici antichissime, le divisioni interne alla nobiltà friulana si approfondirono a seguito dell’azione di una delle più ricche e potenti famiglie della Patria, i Savorgnan. Costoro, che possedevano beni e villaggi in tutto il Friuli, erano emersi nell’ultimo scorcio del Trecento come potenziali signori di Udine, dove detenevano una posizione economica e finanziaria preminente grazie anche la stretta collaborazione con i banchieri e i mercanti toscani che vi operavano. Nel 1385 Federico Savorgnan fu aggregato al Maggior Consiglio di Venezia, cementando un’alleanza che fu mantenuta dal figlio Tristano, dopo che i seguaci del Patriarca Giovanni di Moravia assassinarono lo stesso Federico, nel 1389. Con la scomparsa dei da Carrara nel 1405 e il definitivo passaggio dei Savorgnan dalla parte di Venezia gli schieramenti si erano venuti semplificare: a costoro si contrapponeva il patriarca Ludovico di Teck, grande alleato dell’Imperatore, e la città di Udine. Cosa avrebbe fatto Cividale?

Alla ripresa delle ostilità nel 1418 le milizie patriarcali, alla cui testa si mise lo stesso Ludovico, dovettero però fronteggiare da sole l’avanzata, comunque non travolgente, dei veneziani: gli aiuti di parte ungherese non arrivavano. Secondo il massimo storico militare del Rinascimento veneziano, Michael Mallet, l’esercito messo in campo dalla repubblica «non era né particolarmente numeroso, né organizzato con particolare cura». Lo guidava Filippo Arcelli, un condottiero piacentino che era cresciuto sotto i Visconti, con i quali però aveva rotto dopo esser stato fatto signore della sua città. Era così passato al soldo dei veneziani. Lo schieramento veneto era composto da non più di mille “lance”, cioè formazioni di tre uomini, un cavaliere e due uomini di servizio, e almeno due cavalli, ai quali andavano aggiunti gli ausiliari friulani volontari.

Nel settembre 1419 tali milizie penetrarono a fondo nel Friuli occidentale. Le truppe comandate da Tristano Savorgnan saccheggiarono Serravalle e Pordenone, assediarono, conquistarono e rasero al suolo il castello dei Prata, tra i principali alleati di Sigismondo, e rovinarono quindi Aquileia. Emissari del Parlamento friulano e di vari comuni cercarono, con ambascerie, di convincere la Repubblica a una pace ma la determinazione della Repubblica a sgomberare il campo da Ludovico di Teck e dalle pretese ungheresi era fortissima. Nel settembre 2019 Tristano tentò di notte, con un colpo di mano, di prendere Udine ma la città insorse, catturò qualche sodale del Savorgnan, non l’audace capitano, e lo impiccò. Per rappresaglia trenta friulani e venti donne friulane vennero decapitati nelle prigioni venete.

Solo nell’autunno del 1419 gli ungheresi scesero verso Cividale, la quale però, a sorpresa, essendo stata da sempre alleata dei duchi d’Austria, dei Carraresi e di tutti i nemici della Serenissima, era già passata dalla parte di San Marco, convinta della sua superiorità o forse spaventata della crudeltà e della determinazione dei comandanti veneti. L’assedio di Cividale durò dal novembre al dicembre 1419 e si concluse con la ritirata degli ungheresi. Ludovico di Teck tentò da Udine, durante l’inverno, di riorganizzare una disperata difesa del territorio.

Non ricevendo però più alcun aiuto militare, nella primavera-estate seguente, uno per uno i castellani e i comuni friulani passarono sotto Venezia. Il 12 maggio si arrendeva Portogruaro, il 19 si sottomisero gli Strassoldo, Gemona il 5 luglio, Venzone il 15, San Daniele e la Carnia il 16, Marano e Monfalcone il 18 luglio. Il 6 giugno Tristano Savorgnan era entrato trionfalmente a Udine, precedendo i comandanti e le forze veneziane, portando in mano il vessillo di San Marco, seminando terrore per le possibili vendette. Ludovico di Teck era già riparato oltralpe. La Repubblica non si fermò e ne approfittò per riassicurarsi Feltre, Belluno e il Cadore, i possedimenti istriani del Patriarcato e tutta la Dalmazia con i principali centri albanesi, sottratti definitivamente alla corona d’Ungheria. Pordenone sarebbe rimasta arciducale fino al 1508. La frontiera orientale di Venezia, sulle Alpi Giulie, era stata portata ad una distanza di sicurezza dalla laguna, 150 km, grossomodo la stessa del confine occidentale sul Mincio.

Alla prova del nove della sua tenuta come compagine statale lo Stato friulano si era dissolto. Prima ancora che sotto i colpi dei nemici esterni e “per mano della Serenissima” il potere temporale dei patriarchi di Aquileia si era sgretolato per i dissidi interni della Patria e per l’insipienza della sua guida. Ma come avrebbe trattato Venezia la sua nuova conquista? —

(4- Continua)
 

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