La verità oltre ogni dubbio nel libro di Ponti e De Pauli

Il nuovo libro "La giustizia raccontata. Le sfide dell’avvocato tra presente e futuro” è una sorta di vademecum realizzato dai due legali e scrittori

Franco Fabbro
La copertina del libro e gli autori (da sinistra) Luca De Pauli e Luca Ponti
La copertina del libro e gli autori (da sinistra) Luca De Pauli e Luca Ponti

Fino a che punto è possibile dire quello che si pensa? Questo mi sembra essere uno dei fili conduttori del libro La giustizia raccontata. Le sfide dell’avvocato tra presente e futuro di Luca Ponti e Luca De Pauli (Mimesis, 2025). Come sostengono i due autori, il loro libro vorrebbe far conoscere il mondo degli avvocati, costituire cioè una sorta di vademecum dell’avvocato, utile non soltanto per i clienti, ma anche ai giudici e soprattutto ai colleghi più giovani.

Credo che il mestiere dell’avvocato si basi su tre punti fondamentali: 1) la presenza di contrasti tra esseri umani (oppure tra gli esseri umani e le strutture sociali); 2) la necessità di persone competenti ed «estranee» al conflitto in grado di consigliare ed eventualmente difendere un cliente; 3) l’esistenza di istituzioni con ordinamenti complessi ed articolati che necessitano di «tecnici» in grado di conoscerli e interpretarli.

Mentre i primi due punti sono tipici della specie umana (ossia i conflitti e il ruolo giocato da consulenti e intermediari), il terzo punto è un derivato della storia della civiltà occidentale. Non credo si tratti di una «evoluzione della civiltà», come sostengono Ponti e De Pauli (p. 12), quanto piuttosto di una sua involuzione. Infatti, sono convinto sia possibile – anche se molto difficile – riorganizzare le società umane in maniera complessa ma completamente differenti dalle attuali, ossia in confederazioni di piccoli popoli autonomi e autogestiti, che renderebbero possibile l’organizzazione della giustizia in maniera molto più semplice, diretta e probabilmente più equa.

Per dire delle cose, per esprimere i propri pensieri, le proprie idee, è necessario usare parole. Come è noto, agli avvocati le parole non mancano. Spesso, il linguaggio avvocatizio è «ampolloso, inutilmente chic, verboso non solo nella lunghezza dell’incedere, ma anche nella selezione delle espressioni lessicali» (p. 40), oggigiorno sempre più infarcite dall’uso dell’inglese (mentre fino a non molti anni fa imperava il latino). Consapevoli di questo limite Ponti e De Pauli, parlano (o meglio scrivono) in maniera concisa e diretta.

La “giustizia raccontata” in questo libro si articola in una sessantina di capitoli, la maggior parte dei quali non raggiunge le due o tre pagine. A loro parere l’avvocato, che sa di sapere, non ha paura del silenzio, non parla nessuna lingua inutile, ed è in grado di sviluppare le strategie più opportune «controlla la causa o il processo senza logorroiche manifestazioni poliglotte» (p. 40).

Uno dei temi caldi del libro riguarda l’attualità del nostro tempo. Un periodo caratterizzato dalla “transizione” tra il mondo di prima e l’enigmatico mondo dell’Intelligenza artificiale generativa. Secondo i due autori, nel mondo attuale nulla è stabile, «tutto è fluttuante. Ogni conquista è giornaliera» (p. 46). Soprattutto i clienti più interessanti, gli imprenditori – che nel recente passato costituivano dei veri e propri status symbol – non sono più gli stessi. Oggi, gli imprenditori appaiono sconfitti, delusi, incattiviti. Non sanno più cosa devono fare (p. 46). Il nostro tempo è caratterizzato soprattutto dallo “stress”.

«Lo stress è diventato imperante nella vita di tutti i clienti» (p. 28). In questo contesto, sempre più persone tendono a considerare la “velocità” della risposta più importante della “qualità” (ed è noto che le risposte automatiche, tipiche delle macchine e dei computer, sono molto più veloci del pensiero riflessivo e strategico).

In questa situazione, secondo Ponti e De Pauli, la “componente partecipativa ed empatica” è una delle caratteristiche vincenti dell’avvocato. Oltre alle competenze professionali l’avvocato a loro parere deve essere in grado di sviluppare conoscenze umane e psicologiche, utili non solo per interagire con il cliente, ma anche con i colleghi (affetti spesso da narcisismo, invidia e gelosia) e con i giudici. Si tratta di un punto fondamentale che già nel 1959, il famoso psicologo svizzero, Carl Gustav Jung, aveva sottolineato.

Egli sostenne che «abbiamo bisogno di più psicologia, perché dobbiamo conoscere meglio la natura umana, dato che l’unico vero pericolo esistente è costituito dall’essere umano stesso. È lui il vero pericolo e purtroppo non ce ne rendiamo conto. Noi sappiamo troppo poco di che cosa sono gli esseri umani».

Credo che invece Luca Ponti – che ho la fortuna di conoscere – sia non solo un avvocato ma anche un fine psicologo, e il suo successo professionale non sia dato soltanto dalla sua intelligenza e dalla sua competenza professionale ma anche dalle sue capacità intuitive, umane e psicologiche.

Nel capitolo “L’avvocato e la verità”, le riflessioni di Ponti e De Pauli si fanno più stingenti, ossia ci si avvicina sempre di più a ciò che forse sarebbe stato meglio né pensare, né dire. Ad esempio alle domande: «esiste questa sbandierata verità?». «Le decisioni del giudice sono espresse al di là di ogni ragionevole dubbio?» (poiché qualsiasi dubbio dovrebbe essere di per sé sufficiente a pronunciare una sentenza assolutoria).

E infine, il fantomatico principio dell’eguaglianza, che si legge in cima alle aule di giustizia: “La legge è uguale per tutti” corrisponde alla realtà? A queste domande gli autori non danno una risposta diretta, indicano itinerari possibili di pensiero, augurandosi che in futuro in nome dell’eguaglianza non si affidi il giudizio sulle nostre condotte umane a dei robot o a degli strumenti informatici.

In conclusione, La giustizia raccontata è un libro innovativo, molto interessante e ben scritto, per queste ragione se ne consiglia l’acquisto e la lettura.

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