Viaggio nel Medioevo tra intrighi e assedi: nel castello di Villalta non solo amore cortese

La storia
Documentato dal 1216 ma probabilmente molto più antico, il castello di Villalta sorprende il visitatore per l’imponenza della doppia cinta muraria ancora perfettamente conservata. Scenografia ideale perché il pensiero viaggi a ritroso nei secoli e fino al medioevo, per immaginarsi un assedio: soldati che tentano di appoggiare scale malferme alle mura del maniero nella speranza di superarle, mentre dall’alto i difensori li bersagliano di frecce, pietre e acqua bollente.
Non solo cavalleria e amor cortese quindi, e difatti non è un caso che una delle stanze più interessanti di questo castello sia quella dalla quale si può osservare, grazie a una finestrella posta sul pavimento, l’antica segreta ove trovavano la morte i nemici del casato.
Ma il periodo più oscuro della sua storia, Villalta l’ebbe quando il medioevo era finito da un pezzo. Nel 1695 vi nacque un personaggio destinato a far parlare lungamente di sé, e non per carità cristiana ma quale abile seduttore, capo di una organizzazione criminale e omicida seriale. In soli ventotto anni di vita, il conte Lucio ne combinò tante e tali da potere difficilmente tentare un riassunto di poche righe. Nonostante già non si contassero le denunce sul suo conto, principalmente perché a capo di una milizia privata che taglieggiava indifferentemente nobili e popolani, il Torriano decise di partecipare ugualmente al carnevale di Venezia, e secondo il suo stile. Fece trasportare via nave una carrozza trainata da sei cavalli in Piazza San Marco, cosa vietatissima pure al patriziato più potente, e solo per fendere la folla là radunata per una cerimonia religiosa così da farsi beffe dell’autorità dogale.
Oltre a chiedere “il pizzo”, quegli uomini proteggevano il signore di Villalta da ogni possibile ritorsione o dai tentativi di arrestarlo. Uno dei quali avvenne a Padova, ove il conte Lucio si era recato per partecipare ai festeggiamenti del patrono della città. E anche quella volta nulla poté la “squadra speciale” inviata da Venezia. I soldati di Lucio lo difesero fino alla morte permettendogli una rocambolesca fuga travestito da frate.
Da lì l’esilio nei territori asburgici, vissuto affatto sottotraccia. Altri intrighi, altre amanti divenute presto complici. Una pistola con il calcio sporco di sangue ritrovata in un fosso. Il principio della fine. Un assedio; centocinquanta soldati, due cannoni e la minaccia di distruggere il castello di Farra d’Isonzo ove si era asserragliato. Infine la Giustizia, secondo l’uso del tempo. Ovvero a colpi di mannaia. Poco prima, occhi sbarrati per il terrore di dover pagare, nell’aldilà, per tutti i delitti commessi.
Faccia d’angelo e cuore nero. Un quadro appeso in una sala del castello di Villalta lo ritrae così, apparentemente gentile e innocuo.
Florean e Venturin, questi i nomignoli affibbiati dagli udinesi alle seicentesche statue di Ercole e Caco che si ergono fiere sui loro piedistalli proprio al centro di Piazza della Libertà. Ma forse non tutti sanno che le due statue non furono realizzate pensando a questa prestigiosa collocazione, provengono infatti dallo scomparso palazzo che i della Torre avevano in città, palazzo che venne distrutto a furor di popolo dopo la cattura del conte Lucio come ritorsione per le tante vessazioni subite dalla sua milizia. Cosicché, curiosamente, in questa piazza tanto importante per gli udinesi, due simboli della ricchezza e delle ambizioni del signore di Villalta ancora gli sopravvivono. —
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