Vita da gregario all’ombra dei campioni del ciclismo
Il docu film “Wonderful Losers” di Arunas Matelis è un’opera con molto Friuli Sarà proiettato martedì 23 al Rossetti durante la rassegna giuliana di cinema

Ironia della sorte, proprio il 13 gennaio di cinque anni fa morì Andrea Carrea, lo storico gregario di Fausto Coppi. Senza di lui, e senza Ettore Milano, il campionissimo non sarebbe stato lo stesso. Lui il mito, loro i gregari. «Una vita da mediano a recuperar palloni», per dirla con Ligabue che vent’anni fa, su per giù, così celebrava Lele Oriali, il gregario per eccellenza del calcio, nell’Inter e nell’Italia mondiale.
Wonderful losers
dice oggi il regista lituano Arunas Matelis, che ha battezzato così la sua ultima fatica documentaria.
Pellicola di un’ora e dieci minuti realizzata sulle ruote del Giro d’Italia 2014 (quello che si concluse a Trieste passando il giorno prima sullo Zoncolan) e 2015 in programma al Trieste Film festival. Teatro Rossetti, 23 gennaio. Niente carovana, niente festa, niente star. Matelis immortala l’altro Giro. Quello fatto di fatica e sacrificio. Di sangue e denti stretti. Protagonisti i gregari, coprotagonista l’Italia del ciclismo. E tanto, tanto Friuli. Zoncolan soprattutto. Il film è l’esaltazione della fatica e dei suoi uomini. Come Sven Tuft, 37 anni canadese della formazione australiana Orica. Lo si vede come un fachiro sulle sue montagne alzare un bilanciere a torso nudo tra la neve, immergere le gambe piene di acido lattico in un torrente gelido, dormire col sacco a pelo all’addiaccio. Poi? Irlanda 2014. Partenza del Giro. Nella cronosquadre gli squali dell’Orica dominano e lo fanno passare per primo sul traguardo. Maglia rosa che vale da ricompensa per una vita passata a far fatica sulle ruote.
Poi c’è Paolo Tiralongo. Siciliano, 40 anni. Nella sua carriera ha fatto vincere Contador, Nibali e Aru. I campioni, quelli che nel documentario non fanno storia. Tranne una volta. La più bella, perché a Macugnaga, Giro d’Italia 2011, il gregario Tiralongo è protagonista di una favola a lieto fine. Corre per l’Astana e ha via libera per una fuga. Può vincere ma il suo ex capitano Alberto Contador, vestito della rosa, gli piomba alle spalle. Affianca l’amico, ma non lo supera. Anzi, lo incita: «Seguimi, resisti». Poi sul traguardo si fa da parte e lo lascia provare l'ebbrezza di alzare per un volta le braccia al cielo. Meraviglioso.
E ancora, Enrico Gasparotto. Friulano, 35 anni. È suo uno dei volti coperti di fatica che spuntano sulla locandina di
Wonderful losers
dove lo si vede, insieme all’amico Luca Paolini, impegnato a scalare il Gavia sotto la neve. L’altro friulano della pellicola è lo Zoncolan. Lo riconosci vedendo la scia di moto con a bordo i meccanici, biciclette in spalla, pronti a scalare la salita terribile. Poi, a fine pellicola, i ciclisti escono dall’ultima galleria piombando nello stadio all’aperto più bello del ciclismo. Non primi, ma ultimi. Sono gregari, vanno piano, faticano mai e sul Kaiser si godono il meritato spettacolo, dopo decine e decine di chilometri di sofferenza. Le scene girate sull’auto del medico di corsa sono emblematiche, l’essenza d’uno sport pericoloso e troppo spesso, colpa di corridori ambiziosi oltre misura e di medici stregoni, capace di farsi del male con le proprie mani. Che sia doping o il motorino nascosto nella bici poco importa, tutto sfuma, restituendo al ciclismo il suo fascino irresistibile, dietro l’immagine del gregario a terra. Vinto dal dolore accanto al medico che tampona il sangue e alza il braccio per chiamare l’ambulanza. La barella arriva ma lui non sale. S’infila il casco e si rimette in bici. Armato solo di gambe e tenacia.
Wonderful
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