Volti, paesaggi e colori carnici negli scatti di Ulderica da Pozzo

Ulderica conosce tutta la Carnia. La ama profondamente, visceralmente. Quando ne parla, passa dall’italiano al carnico, la sua lingua madre. Gira per fotografarla, imprimerla affinché non scompaia almeno dal ricordo. «È la mia ossessione» dice.

«Ho paura che quello che vedo poi non lo rivedrò più». I riti, i volti, i paesaggi. Questo fa da quando è ragazza. E ragazza è ancora, mentre la vedo saltare come un folletto da un muro a secco, un rio, un sentiero scosceso. Tutto per una foto. Non posa mai l’obiettivo. Non riposa mai lo sguardo. “Se potessi, fotograferei con gli occhi” mi disse la prima volta che la intervistai. Non abbandona mai la macchina fotografica, ce l’ha sempre in spalla. Usa anche il telefono, è una scoperta recente, ma non sostituisce la “camera”, che ora è una mirrorless, più leggera, versatile. In cammino ne usa due, una per spalla.

Ulderica Da Pozzo potrebbe fotografare il mondo. Però si ostina a restare qui, in Friuli Venezia Giulia, che ha percorso in ogni anfratto, piega, sentiero. Senza stancarsi di cogliere un gesto, la luna che sale dalla montagna, le variazioni della neve.

«Il mondo grande è anche il mondo piccolo» mi dice mentre zappetta nell’orto di Duga. Salars è il suo regno, un borgo di casa antiche che hanno resistito al cemento portato dal turismo e pure alle frane delle alluvioni. Una nel ’66 portò via il paese vicino, Campivolo, ma lei lo ha fotografato prima che venisse abbattuto, ne ha cercato le tracce. Lo ha salvato dall’oblio.

Ora lavora a un nuovo progetto, che prosegue quello avviato un ventennio fa, Malghe e malgari, libro introvabile e prezioso, a cui seguì Biancolatte, mostra itinerante con una tappa anche nella galleria al piano terra di Cjasa Da Duga, che è abitazione e anche museo. Si apre d’estate. Quest’anno sarà diverso, il Covid ha fermato gli eventi ma non lei, che pensa a una sorpresa di fine estate, mentre un nuovo libro sta venendo alla luce. Parlerà di donne. Dopo “I ragazzi del ’99”, quelli di ieri che fecero la guerra, e quelli di oggi, che in montagna combattono resistenti la battaglia dello spopolamento.

Ulderica mi guida nella sua Carnia, è per me preziosa in queste tappe della Via degli Angeli. A Ravascletto mi porta a vedere gli angeli della chiesa di Santo Spirito. Uno guerresco, con l’armatura, l’altro sensuale, la tunica che scopre il petto.

«Mi affascinavano da bambina, li guardavo durante la messa nella parrocchiale di San Matteo, dove si trovavano prima. Ma mi piacciono anche i cherubini dell’affresco sulla cupola, perché sono buffi e ci guardano dalle nuvole».


 

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