Arduino Paniccia: l’Europa ha sottovalutato i rischi, adesso tanti nodi stanno venendo a galla

L’esperto friulano analizza il delicato quadro internazionale. «Fronteggiamo l’alleanza delle autocrazie Cina, Russia e Iran»

Riccardo De Toma
Arduino Paniccia
Arduino Paniccia

«Il nostro compito? Provare a diradare la nebbia della guerra». Arduino Paniccia, fondatore e presidente della Scuola di guerra economica e competizione internazionale di Venezia, cita von Clausewitz, il primo a definire la guerra come il campo dell’incerto.

E se le guerre che viviamo oggi sono doppie, militari ed economiche allo stesso tempo, le incertezze si moltiplicano esponenzialmente, rendendo più arduo il compito degli analisti e alzando l’asticella di un evento come Open Dialogues for Future. Ma provare a interpretare la realtà, «e a traguardare il fondo del tunnel», è una missione tanto più importante di fronte a scenari che mutano smentendo ogni previsione, come quelli che stiamo vivendo, sostiene Paniccia.

Un anno fa, a Open Dialogues, si temeva un allargamento del conflitto russo-ucraino. La nuova guerra, a sorpresa, è scoppiata in Palestina e anche questa non si annuncia breve…

«A dire il vero tornano timori anche a est, vista la situazione in Transnistria. Se trent’anni fa, dopo la caduta del muro, c’era chi, come Fukuyama, teorizzava la fine della storia, e se anche nel nuovo millennio abbiamo sottovalutato troppo a lungo i rischi che si correvano sottotraccia, adesso i nodi sono arrivati al pettine, mettendo di fronte due realtà: a Oriente un’alleanza tra autocrazie come Cina, Russia e Iran, dall’altra parte un Occidente non preparato a situazioni di conflitto, e in particolare l’Europa».

È davvero così compatto il fronte a Oriente? E davvero l’Occidente così impreparato?

«L’Occidente sta trovando elementi importanti, come la coesione all’interno della Nato e sulle due sponde dell’Atlantico. Ma la guerra ibrida, o doppia, portata da Russia, Cina, Iran e dagli altri Stati che compongono il “gruppo” di Shanghai, è un dato di fatto e che ci deve portare e rivedere le nostre strategie. Gli schemi sono cambiati e l’uccisione di Navalny ne è stata un esempio. E cambiano anche le alleanze: si guardi all’India, che dopo l’esplosione della guerra in Ucraina ha aumentato del 400% l’import di petrolio russo».

E l’Europa che fa?

«Lo scenario è difficile e si prospettano eventi importanti come le elezioni presidenziali Usa. Ma è un quadro che rende più centrale rispetto al passato il ruolo dell’Europa. Se prima erano Gli Stati Uniti quelli che potevano illuminare la nebbia della guerra, oggi è l’Europa che dovrebbe accendere il faro: ci ha provato Macron, con un discorso a mio avviso volutamente provocatorio, ipotizzando un coinvolgimento diretto dell’Europa sul fronte ucraino».

Perché quell’uscita, criticatissima in Francia e in tutta l’Europa?

«Gli Usa che hanno retto all’urto della guerra in Ucraina e stanno provando a reggere anche all’impatto del conflitto in Palestina. Macron teme che non possano reggere all’apertura di nuovi fronti, in particolare se il terzo dovesse coinvolgere più da vicino gli Stati Uniti nell’area del Pacifico. Da qui, ritengo, il richiamo del presidente francese al ruolo dell’Europa».

Quali sono gli scenari che ha davanti l’Europa?

«Da un lato l’ipotesi di una frontiera russa più ampia e di un’Ucraina neutrale, dall’altro quella di una Russia all’angolo e un’Europa più forte. Uno scenario, il secondo, che rafforzerebbe anche il ruolo del Friuli Venezia Giulia, con il suo manifatturiero, il suo sistema portuale e i suoi centri di ricerca, come punta avanzata del dialogo e dei rapporti economici con il centro e l’est Europa, in particolare in un’epoca come questa, caratterizzata da grandi processi di reshoring e di riorganizzazione delle filiere produttive globali».

Non le pare uno scenario ottimista?

«È vero che l’Europa fatica a trovare una voce unita. Perfino di fronte a eventi come quelli che stiamo vivendo gli interessi spesso sono divergenti o contrapposti: pensiamo ad esempio a come la crisi di Suez avvantaggi i porti del Nord Europa rispetto a quelli del Mediterraneo. Però vedo anche i segnali di un’Europa non più disposta a soggiacere. E anche sul fronte delle autocrazie vedo sintomi di debolezza, come l’uccisione di Navalny in Russia, a sette mesi di distanza del tentato golpe di Prigozin, o le purghe nei dipartimenti difesa ed esteri in Cina. Siamo di fronte a una guerra che non è solo economica e militare, ma anche di modelli di società, uno basato sul mercato, l’altro più confuciano e statalista: tocca a noi capire che mondo ne uscirà e lo possiamo fare solo studiando. Un compito che non possiamo delegare ad alcuno».

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