Lo spettacolo-denuncia di Lella Costa: «Esiste una patologia nelle relazioni tra uomo e donna»

L'attrice ha portato in scena "Ferite a morte" sulle vittime di violenza. Lo spettacolo firmato da Dandini. «Un addio non è una sconfitta»

Gian Paolo Polesini
Lella Costa porta in scena uno spettacolo dal nome "Ferite a morte"
Lella Costa porta in scena uno spettacolo dal nome "Ferite a morte"

L'istintiva mescolanza fra la finzione — il richiamo necessario e urgente è "Ferite a morte", uno spettacolo teatrale dedicato alle donne vittime di violenza firmato da Serena Dandini con Lella Costa — e il reale, impone dei ragionamenti sulla preoccupante sequenza della follia omicida sempre più padrona della quotidianità e indecifrabile perché ogni mano insanguinata è gestita da impulsi contrastanti. E inarrestabile, nonostante le parole, i proclami, le intenzioni migliori e i deterrenti agiscano per stroncare un'esondazione di femminicidio senza precedenti.


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«È un fenomeno globale, non c'è posto al mondo dove non accada — racconta Costa, una delle nostre attrici più coinvolte nel sociale — bisogna renderci conto dell'esistenza di una seria patologia presente nella relazione uomo/donna che va affrontata e curata come una malattia. A volte mi trovo talmente sopraffatta da questi episodi terrificanti da non riuscire a esprimere con distacco un pensiero utile alla causa. Ogni giorno siamo costretti a prendere coscienza di nuovi casi, un aumento davvero sproporzionato. Nulla è servito, allora, a bloccare quest'onda anomala che travolge l'umanità? Sa cosa mi disorienta? La giovane età dei ragazzi e l'insospettabile identikit dell'omicida, spesso il compagno di università, il ragazzo per bene. Non te lo aspetteresti mai».

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Dal teatro ci si auspica una voce forte capace d'introdurre una riflessione utile se non altro per l'autorevolezza di chi sta sul proscenio. «L'idea di Serena — spiega Lella Costa — si alimentò allora, ricordiamo che lo spettacolo ha già una decina d'anni, da un esempio di vita vera, ovvero i genitori di una povera ragazza uccisa confessarono con stupore che mai e poi mai avrebbero riconosciuto un mostro nel loro genero gentile. "Lo avevamo in casa e non ce ne siamo accorti", così cercarono di spiegare l'improvviso scompiglio».

Scrive Serena Dandini nel pieghevole della messinscena. "Tutti i monologhi di Ferite a morte ci parlano di delitti annunciati, di omicidi di donne da parte di uomini che avrebbero dovuto amarle e proteggerle. Non a caso i colpevoli sono spesso i mariti, i fidanzati o gli ex, una strage familiare che con un'impressionante cadenza continua tristemente a riempire le pagine della nostra cronaca quotidiana".

«C'è un qualcosa che dovremmo fare — suggerisce la Costa — ed è dare la parola agli uomini, affinché siano loro a denunciare altri uomini, cercando di spiegare che la violenza non è la soluzione migliore, e mai lo è, che un "no" o un addio non vanno vissuti sempre come una sconfitta, talvolta è la fine naturale di un amore e bisogna lasciarlo andare. Altrimenti esiste il dialogo, se Dio vuole: se affrontato con intelligenza, funziona».

La legge. Ecco, proprio la legge. Non è abbastanza dura, forse? «Poco può realizzare prima. Soprattutto se l'assassino si maschera e non fa capire le sue intenzioni sino al momento fatale. Vanno altresì ascoltate e valutate bene le grida d'aiuto di una donna minacciata. "Non possiamo agire finché non c'è flagranza di reato" è la risposta abituale. In Trentino ho saputo di corsi specializzati per le forze dell'ordine incaricate di gestire gli allarmi. Ben poco altro si può dire, se non parlarne di continuo, alla nausea, affinché quest'abitudine alla condanna riesca in qualche modo a invertire la tendenza».

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