Il sappadino che ha fatto piangere una nazione: «Pronto, sono Silvio Fauner» e la signora in Norvegia restò senza parole
Il campione olimpico è diventato l’incubo dei padroni di casa ai Giochi invernali del 1994: «Il segreto della mia volata? Mettermi davanti a Daehlie e sfidarlo»

SAPPADA. "Sissio” Fauner di anni ora ne ha 55, è andato in pensione da poco dai Carabinieri, a Sappada fa l’assessore, dice di non voler fare il sindaco e si gode l’aria frizzante dell’alta valle del Piave, specie in questi giorni di trionfi della biathleta Lisa Vittozzi.
Fauner, sono passati trent’anni dal quel trionfo, cosa ricorda in particolare di quel giorno?
«Tre flash. Il primo, avevamo tre navette per andare dall’hotel alla zona del circuito, che era sulla collina sopra Lillehammer. Alle 10 di mattina venne l’autista-skiman a chiamarmi: stavo ancora dormendo».
Tensione zero?
«Beh, fortunatamente ero così».
Poi?
«Fine dell’ultima salita prima dell’arrivo. Daehlie cerca di staccarmi, non ci riesce, allora rallenta per farmi passare davanti come si fa nel ciclismo su pista. Io non ci casco, invece vado davanti eccome a 500 metri dall’arrivo».
Ma nel ciclismo se fai così in volata sei morto...
«Invece, qualche anno dopo incrociato una premiazione, Bjorn mi disse che con quell’azione lo avevo stroncato».
E il terzo flash?
«Beh, oltre ai brividi al momento della cerimonia di premiazione quando ha risuonato l’Inno di Mameli, come faccio a dimenticare la festa organizzataci da quella ventina di eroi del mio fan club di Sappada arrivati in camper?».
Dopo di lei è arrivato l’oro di Piller Cottrer a Torino 2006, ora c’è Lisa Vittozzi...
«In quegli anni sono stato io ad aprire la strada. Dai Camosci, storico club del paese con Eliseo Sartor al Mondiale juniores vinto ad Asiago. È partito tutto da lì, ora siamo la culla del fondo».
Eppure lo sci di fondo azzurro ora fa fatica...
«Vero. C’è un grande atleta come Federico Pellegrino. La federazione ha fatto ruotare tutto il movimento attorno a lui, che però è uno specialista solo delle discipline veloci. Avrebbe dovuto seguire bene lui e gli altri con uno staff parallelo. I talenti ci sono, vedi il nostro Davide Graz, ma bisogna seguirli passo passo».
E c’è la concorrenza del biathlon, disciplina più spettacolare.
«Vero, anche se i talenti ventenni del fondo per ora questa influenza non l’hanno sentita. Nei prossimi anni sarà ancora più dura ed è per questo che la Federazione internazionale deve cambiare registro mettendo ordine sul format delle gare».
Le mancano le gare?
«Sarò masochista, ma mi manca la fatica degli allenamenti. La fatica educa, in generale lo sport insegna sacrificio. Insomma, per questo penso che una disciplina come lo sci di fondo abbia ancora una marcia in più».
Anche se ci sono i social e i giovani giocano alla playstation?
«Sì, nel nostro sport ci sono natura, sacrificio, passione».
Fauner, 30 anni fa gli sci stretti andavano di gran moda...
«I campioni venivano riconosciuti per strada, la neve tirava, molto grazie al mio amico Alberto Tomba, compagno in gioventù al Gruppo Sportivo Carabinieri con cui sono rimasto in contatto: è un guascone come all’epoca».
Quella volata di Lillehammer se la sogna di notte?
«Poco. Specie dopo aver vinto in quelle stagioni pensavo sempre alla gara successiva. Poi, col tempo, ho cominciato a capire cosa avevo fatto. Le racconto una cosa».
Prego.
«Un anno, quando ero direttore tecnico dell’Italia, dissi alla logistica di prenotare per la tappa di Coppa a Lillehammer il solito albergo e mi risposero che dalla Norvegia gli avevano detto che non c’era posto. Allora chiamai io. “Pronto sono Silvio Fauner”. Dall’altro capo della cornetta una gentile signora non dice nulla per mezzo minuto. Poi: “Fauner? Quel Silvio Fauner?” Io confermo. Lei non sembra prenderla bene, altri secondi di silenzio e poi le camere sono spuntate».
Ma i norvegesi in fondo sono sportivi...
«Sì, anche se per un sacco di tempo dopo la mia volata le centomila persone dello stadio e in generale le 200 mila sul percorso restarono ammutolite. Si sentiva solo il clan azzurro urlare di gioia».
In conclusione, ci dia un flash dei suoi compagni.
«Facile: il Grillo era la consapevolezza, Vanzetta la tenacia, Albarello la forza. Lo sa che io e Marco il giorno prima della gara abbiamo simulato lo sprint nella prova del percorso?».
Vinse lei?
«Sì e dissi a Marco che l’avrei fatto anche il giorno dopo».
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