L’addio a Pizzul e il dolore di Dino Zoff: «È stato un uomo e un friulano vero»

Dino: «Ci ha rappresentati alla grande nel mondo». «Io ct e lui giornalista, avevamo molto rispetto dei ruoli»

Massimo Meroi

«Se n’è andato un uomo vero, e non è poco». Dino Zoff sintetizza in queste poche ma efficaci parole il ritratto del suo amico Bruno Pizzul, scomparso all’alba di mercoledì 5 marzo.

L’ex grande portiere parla ai microfoni del Tg 1 prima di rispondere alla telefonata che arriva dal Friuli. Avevamo sentito Dino venerdì scorso per gli auguri di rito per il suo 83º compleanno e lo avevamo aggiornato sulle condizioni di Pizzul. «È ricoverato in ospedale? Mi informerò».

Zoff, chi ci ha lasciato?

«Un uomo vero e con questo potrei aver già detto tutto. Per me era un amico di vecchia data, negli ultimi anni ci frequentavamo un po’ meno perché io sono qui in “trasferta” a Roma, ma in estate qualche merenda sotto gli alberi di casa mia la facevamo ancora».

Lui di Cormons, lei di Mariano del Friuli. I primi ricordi?

«Da ragazzi quando ci si incontrava nelle sagre di paese. Da calciatori non ci siamo mai affrontati, prima perché lui aveva qualche anno più di me poi perché io, come carriera, sono andato un po’ più lontano di lui».

Quali erano gli argomenti che trattavate durante questi incontri estivi?

«Siamo sempre stati due sportivi e quindi si parlava di cose di campo, ma soprattutto di comportamenti che sono sempre l’aspetto più importante».

Che calciatore era Pizzul?

«Prestante. Diciamo che il fisico gli permetteva di essere abbastanza autoritario in campo».

E il giornalista? Dicono che abbia inventato un linguaggio con le sue telecronache.

«Diciamo che il suo era uno stile molto friulano, asciutto. Andava al succo delle cose. E aver fatto il calciatore lo aiutava nel giudicare le varie situazioni. E poi aveva un timbro di voce molto particolare che restava dentro».

Pizzul è stato per tanti anni il telecronista della gare della Nazionale di cui lei è stato Ct dal 1998 al 2000 con la finale persa con la Francia per il golden gol di Trezeguet. Come vi rapportavate in quel periodo?

«Avevamo un grande rispetto dei rispettivi ruoli diciamo così “istituzionali”, evitavamo confidenze e battute, quello era l’ambito lavorativo. In quel contesto eravamo allenatore e giornalista, all’esterno tornavamo a essere due amici. Sì, parlavamo in friulano e la cosa ci veniva abbastanza naturale».

Se dovesse raccontare a un ragazzo di oggi chi era Bruno Pizzul cosa gli direbbe?

«Lo definirei un friulano che ci ha rappresentato nel migliore dei modi in Italia e all’estero. Noi siamo sempre stati orgogliosi delle nostre radici e dei valori che ci sono stati trasmessi». 

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