Patrizia ha chiesto aiuto per venti minuti: in un video l’ultimo disperato tentativo del vigile del fuoco nel Natisone
L’inchiesta della Procura di Udine per omicidio colposo a carico di ignoti punta proprio a stabilire se vi siano responsabilità di natura omissiva nella macchina dei soccorsi
UDINE. Una ventina di minuti in tutto, prima del silenzio. Tanto è durato lo strazio dell’attesa, tra lo smarrimento nel vedere la terra sparire attorno ai piedi e ritrovarsi stretti sull’unico pezzo del ghiaione rimasto asciutto, la paura di sentire l’acqua torbida e fredda della piena salire a velocità vertiginosa e, infine, la disperazione, quella di chi non sa più immaginare una via di scampo.
A scandirlo e rendere ancora più atroce la tragedia dei tre giovani travolti venerdì scorso dalla furia del Natisone sono le quattro telefonate al Nue 112 che Patrizia Cormos effettua dal suo cellulare per chiedere aiuto.
Le quattro telefonate
La prima è delle 13.29: all’operatore che le risponde fornisce le proprie generalità e spiega che insieme a due amici, Bianca Doros e Cristian Casian Molnar, si trova isolata su un isolotto sotto il ponte Romano, a Premariacco.
La seconda parte qualche minuto dopo, forse per sollecitare un intervento, ma va a vuoto, perchè senza contatto. La terza viene registrata alle 13.36: la situazione, con il livello dell’acqua sempre più alto, richiede assistenza immediata. Trascorre una dozzina di altri minuti e, alle 13.48, i ragazzi, stremati e uniti nell’abbraccio in cui il vigile del fuoco che, nel frattempo, si era gettato nel fiume per tentare di raggiungerli, urla loro di stringersi, chiamano per l’ultima volta il Numero unico per l’emergenza.
Un minuto prima, ad allertare i carabinieri era stato anche l’autista dello scuolabus comunale che, attraversando il ponte, li aveva notati in lontananza. Cosa sia stato detto nel corso delle quattro telefonate è oggetto di indagine.
L’inchiesta della Procura di Udine per omicidio colposo a carico di ignoti punta proprio a stabilire se vi siano responsabilità di natura omissiva nella macchina dei soccorsi. Se, cioè, «non si sia intervenuti tempestivamente per approntare i mezzi che avrebbero consentito il salvataggio dei giovani» nell’unico modo possibile in quelle condizioni: con l’intervento di un elicottero attrezzato.
Il pompiere e il filmato
Certo è che chi c’era ha fatto il possibile per salvarli. Prova ne sia il nuovo video che ha cominciato a circolare mercoledì: pochi secondi appena, ma sufficienti a vedere (e ammirare) il vigile del fuoco che, assicurato a una corda tenuta all’altra estremità dai colleghi - tutto personale attrezzato per questo tipo di attività -, si tuffa con l’obiettivo di nuotare nella direzione dei ragazzi. Uno sforzo tanto immane quanto vano, il suo, come dimostrano le bracciate a vuoto con cui tenta di raggiungerli.
La corrente è così forte, da impedirgli il seppur minimo avanzamento e da convincerlo infine a desistere. Con evidente sconforto per lui e per i ragazzi, ormai in preda al panico.
La carenza di organico
«Troppo spesso le carenze di organico, la mancanza di strumenti e attrezzature adeguate all’intervento, la scarsa capacità dell’amministrazione di gestire l’organizzazione territoriale del soccorso e la previsione degli eventi con le sue eventuali ricadute – scrive in una nota il Coordinamento regionale Friuli Venezia Giulia dei vigili del fuoco –, lascia esposti lavoratrici e lavoratori che hanno altissime professionalità, ma che rischiano in prima persona sia durante i soccorsi che nei procedimenti delle autorità competenti, che analizzano i fatti a posteriori».
Da qui, proprio «per migliorare le tutele personali in particolare quando si passa a procedimenti penali», l’intenzione del coordinamento di chiedere sul prossimo rinnovo contrattuale «di aumentare le forme di tutela e salvaguardia per chi lavora nel Corpo».
L’avvocato del fratello
Del resto, l’attività è tutt’altro che conclusa. All’appello manca ancora Cristian e i suoi familiari non hanno affatto perso le speranze. «Non disperano ancora di trovarlo vivo», afferma l’avvocato Gaetano Laghi, del foro di Milano. Petru Radu, che venerdì, alla notizia della scomparsa del fratello, si era precipitato in Friuli dall’Austria, dov’era ospite di un amico, e che, in quanto rumeno residente in Romania, non parla una parola di italiano, si è rivolto a lui affinché lo rappresenti sia nella fase delle ricerche, sia in quella investigativa. Per fargli da filtro, insomma, con tutti i suoi interlocutori: dagli organi di stampa, ai soccorritori e all’autorità giudiziaria.
«La priorità, ora, è rappresentata dalle ricerche – spiega il legale –. Il mio assistito teme che possano essere sospese. Per il momento, non abbiamo alcuna doglianza: ci interessa solo che si continui a scandagliare il fiume e che si trovi il corpo di Cristian. Anche perché soltanto così si potrà porre fine all’angoscia che la famiglia sta vivendo». Il che non significa che non ci sia attenzione per i risvolti giudiziari.
Anzi. «I familiari – tiene a evidenziare l’avvocato Laghi – ripongono piena fiducia nell’inchiesta aperta dalla Procura di Udine, convinti che si accerteranno le eventuali responsabilità nel ritardo dei soccorsi prestati ai tre ragazzi»
I dubbi, per l’appunto, riguardano in primo luogo la tempistica. Il primo elicottero arrivato sul posto era stato quello del 118, alle 14.14, comunque ormai troppo tardi. Nel frattempo, era stato attivato anche quello dei vigili del fuoco, che, decollando però da Venezia alle 14.03, aveva raggiunto il luogo della tragedia appena alle 14.28.
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