Tragedia del Natisone, il disperato racconto di un vigile del fuoco: si è tuffato nel fiume in piena per cercare di salvare i ragazzi
Un pompiere ha rischiato la vita a causa della fortissima corrente. Il comandante Basile: «Questi momenti ce li portiamo dentro»
PREMARIACCO. Tra i vigili del fuoco che hanno tentato di sottrarre i tre ragazzi alla violenza della piena del Natisone ce n’è stato anche uno, un pompiere del comando di Udine, che, pur di riuscire a raggiungerli, si è tuffato in acqua, sfidando l’impeto delle onde. Ha rischiato lui stesso la vita perché le condizioni di intervento, come ha spiegato il comandante provinciale del Corpo, Giorgio Basile, erano davvero estreme, tanto che gli stessi vigili del fuoco «sono tutti molto provati».
Nelle loro menti, infatti, ritornano quei momenti in cui i secondi parevano ore e nei quali la forza del fiume sembrava invincibile. E ritornano i volti terrorizzati di quei giovani che annaspavano per non essere inghiottiti dalle onde.
Qualcuno, tra le persone che hanno assistito alle prime operazioni di soccorso, ha ripreso quei minuti interminabili con il telefonino. E solo a vedere quei video (poi pubblicati sui social network) viene un nodo alla gola, in particolare quando ci si accorge che uno dei ragazzi non è riuscito ad afferrare una delle corde per un soffio. Ed è anche per questo che non ci si dà pace. Decine e decine di uomini, non solo dei vigili del fuoco, ma anche della protezione civile, dei carabinieri e della Croce rossa, , hanno dato, ancora una volta, il massimo nelle speranza di trovare i dispersi.
«Mentre un vigile del fuoco calava la corda con l’autoscala – ha raccontato il comandante Basile, un altro collega è andato giù direttamente in acqua nel tentativo di recuperare qualcuno. Si tratta di un vigile del fuoco particolarmente esperto e fisicamente preparato. Come ho detto all’interessato, è stato bravo, non solo per l’azione, ma anche perché ad un certo punto ha avuto la lucidità di capire che non si poteva andare oltre. Anche per noi, infatti, c’è una linea rossa da non superare, anzi, spesso è una “fascia rossa”. Ecco perché successivamente ho voluto parlare con ciascuno dei ragazzi, perché vanno considerati anche gli aspetti emotivi e psicologici».
L’impegno, dunque, è stato e continua a essere molto importante, sia dal punto di vista operativo, sia sul piano emotivo. «Soprattutto per i soccorritori arrivati in prima battuta – precisa ancora il comandante Basile – si è trattato di un intervento gravoso, anche dal punto di vista emotivo. Proprio per la natura umana, sappiamo che è necessario non solo l’addestramento tecnico del personale (per esempio saper utilizzare attrezzature e dispositivi di protezione individuale), ma anche il supporto psicologico dei nostri operatori perché, una volta che torniamo a casa, queste immagini ce le portiamo dentro ed è dunque giusto trattarle ed elaborarle».
Il comandante Basile, infine, ricorda che quel punto del Natisone – i ragazzi sono stati travolti dalla piena all’altezza del Ponte Romano – è una zona pericolosissima nella quale, in passato, si sono trovati in estrema difficoltà anche sommozzatori professionisti. «La gente del posto lo sa – sottolinea – e quando c’è maltempo non si avventurano nell’alveo del fiume».
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