Unabomber, salgono a 31 i coinvolti nell’inchiesta e a ottobre cambia l’accusa
Altri sette mesi per attribuire un profilo biologico e un nome all’attentatore. Nell’elenco iniziale figuravano 32 nominativi ma nel frattempo una persona è deceduta

Altri sette mesi per una verità attesa da trent’anni. Trenta come il numero delle persone coinvolte nella seconda inchiesta su Unabomber più due: una persona deceduta ed Elvo Zornitta, ingegnere accusato, scagionato, risarcito dopo 18 anni e oggi reindagato. A volte l’Italia sa essere un Paese strano. Ma andiamo con ordine.
Il rinvio
È il 14 ottobre 2024 la prossima data chiave nella caccia all’attentatore che tra il 1994 e il 2006 terrorizzò il Nord Est con trappole esplosive e mutilazioni in serie. Sarà allora che, davanti al giudice per l’udienza preliminare di Trieste Luigi Dainotti, saranno rese note le conclusioni dei periti sui reperti loro consegnati dalla procura della Repubblica.

Tra quelle potenziali dieci pistole puntate contro Unabomber potrebbe essercene una fumante, che cioè ne determini il profilo biologico, o potrebbero rivelarsi tutte armi a salve. Una risposta che si attende di sapere dall’ottobre 2022, da quando cioè il procuratore della Repubblica di Trieste Antonio De Nicolo decise di non ignorare l’esposto del giornalista Marco Maisano e di due delle vittime, Greta Momesso e Francesca Girardi. Giocò la carta della scienza e fece riesaminare le prove raccolte a cavallo di due secoli alla luce delle nuove tecnologie.
Indagati e terzi
Nella mattinata di lunedì 18 marzo il gip Dainotti ha fatto chiarezza sul numero delle persone coinvolte nell’inchiesta: agli undici indagati si sono sommati, come anticipato nei giorni scorsi, altri nomi, inizialmente 15 poi saliti a 20, che hanno portato il totale a 32.
Gli indagati sono sempre i fratelli Elvo e Galliano Zornitta, di Azzano Decimo e Belluno, Luigi Pilloni di Gaiarine, i fratelli gemelli di Sacile Lorenzo e Luigi Benedetti, Claudio e Dario Bulocchi, fratelli di Fontanafredda, Luigi Favretto, di Tarcento, Angelo La Sala, di Sequals, Cristiano Martelli, di Azzano Decimo, Giovanni Fausto Muccin, di Casarsa della Delizia.
I terzi, chiamati a fornire il proprio Dna e non iscritti nel registro degli indagati (ma per chi dice no c’è l’ipotesi del prelievo forzoso), sono residenti prevalentemente nelle province di Pordenone e Udine. Persone di cui si era ipotizzata la convocazione già dall’incidente probatorio del marzo 2023 e sul conto delle quali si è successivamente deciso di procedere, senza che alcuni degli interessati e dei loro difensori ne siano venuti a conoscenza se non dalla lettura degli articoli di stampa o direttamente ieri dal confronto col gip.
Il dubbio
Resta l’interrogativo, al momento senza risposta, sulle ragioni della richiesta di più tempo da parte dei periti, fra i quali spiccano i nomi di Giampietro Lago ed Elena Pilli, la consulente del caso Yara Gambirasio con una particolare abilità nell’esame del Dna mitocondriale.
Se gli esperti hanno deciso di procedere anche su persone inizialmente attenzionate e poi scartate all’epoca delle prime indagini è perché dai dieci reperti è emerso qualcosa di confrontabile col loro Dna, e in questo caso si potrebbe già festeggiare la notizia di aver isolato il profilo genetico di Unabomber, o si tratta di una mera questione di tempi? Di non aver fatto in tempo a concludere tutte le convocazioni degli interessati e le successive comparazioni? Gli indagati, questo è stato chiarito, hanno tutti fornito volontariamente il Dna. Dei terzi alcuni non sarebbero nemmeno a conoscenza di comparire sugli atti giudiziari.
L’accusa
Fra tanti dubbi una certezza. L’uomo che ha fatto ripartire la macchina delle indagini, il procuratore capo Antonio De Nicolo, ha concluso ieri il suo percorso in questo iter processuale. A giugno, per ragioni anagrafiche, De Nicolo dovrà lasciare la magistratura e a sostenere l’accusa sarà il collega Federico Frezza, già impegnato insieme a lui nelle indagini.
A De Nicolo è già andato il grazie di buona parte delle vittime per la volontà di non lasciare nulla di intentato, specie se la scienza, a distanza di anni, può fornire nuove opportunità. E a prescindere dal fatto che incomba la prescrizione (24 azioni criminali su 29 non sono più punibili e per l’attentato meno indietro nel tempo il termine scadrà nel 2026) attribuire un nome e un cognome a Unabomber sarebbe prima di tutto una conquista di civiltà. In una montagna investigativa che in trent’anni ha partorito un’unica condanna: quella di un poliziotto per la manomissione di una prova.
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