Punti nascita di Tolmezzo e Latisana, si punta alle deroghe per evitare chiusure
La Regione chiederà al ministero la dispensa per i reparti nei due nosocomi, che hanno numeri inferiori alla soglia minima. Nella struttura della Bassa appena 220 neonati nei primi sei mesi dell’anno.
L’asticella è fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità e, in Italia, dall’Accordo Stato-Regioni siglato nel 2010: cinquecento parti all’anno. Una soglia minima definita «di sicurezza», sotto la quale i Punti nascita dovrebbero mantenersi per garantire a puerpere e nascituri la massima efficienza nel sistema di gestione e assistenza al parto. In Friuli Venezia Giulia sono due i reparti che non rispettano il parametro: se non sorprende la condizione di Tolmezzo (che ha superato quota cinquecento parti l’ultima volta dieci anni fa, nel 2014), colpisce al contrario il trend discendente di Latisana, che ha chiuso il 2023 con 471 nascite e il primo semestre di quest’anno a quota 220 lieti eventi.
Pochi, troppo pochi. La strada che la Regione si vede costretta a battere per mantenere l’operatività dei due centri è quella della richiesta di deroga al ministero della Salute. L’istanza sarà trasmessa nelle prossime ore alla struttura ministeriale che si occupa della valutazione dei reparti di ostetricia e neonatologia, ovvero il Comitato percorso nascita. A confermare l’avvio dell’iter di richiesta della deroga per i Punti nascita degli ospedali di Tolmezzo e Latisana è l’assessore regionale alla Salute, Riccardo Riccardi: «Come previsto dalle linee di gestione provvederemo nei prossimi giorni a trasmettere i dati al ministero e, sulla base delle osservazioni che ci verranno formulate, inoltreremo le due richieste di deroga».
Per il reparto del nosocomio carnico si tratta di una condizione «consolidata», come rileva lo stesso esponente della giunta Fedriga. Il ministero ha sempre riconosciuto, fin qui, la deroga all’ospedale di Tolmezzo, in ragione del suo status di «area orograficamente disagiata», come recitano i report della Regione.
Il principio è quasi scontato nella sua semplicità: il presidio ospedaliero carnico svolge un ruolo cruciale per tutta l’area montana e la chiusura tout-court del Punto nascita costringerebbe le donne incinte a sobbarcarsi parecchie decine di chilometri per poter partorire e usufruire dei percorsi neonatologici.
Differente è la leva che l’amministrazione regionale intende utilizzare per tentare di ottenere la deroga per Latisana, la cui riapertura nell’estate del 2019 coincise con la chiusura del Punto nascita di Palmanova: «Dobbiamo considerare, in questo caso, il ruolo che il reparto latisanese svolge durante l’estate, quando è necessario garantire una risposta a una platea che cresce sensibilmente», evidenzia Riccardi. «La linea della Regione – prosegue l’assessore – è quella di mantenere entrambi i Punti nascita: auspichiamo che da parte della struttura ministeriale chiamata a esprimersi non ci sia contrarietà a questa nostra richiesta».
Le valutazioni, anche future, non potranno ignorare il contesto, ben fotografato da numeri che sono impietosi: nel 2009 avevano visto la luce in Friuli Venezia Giulia 10.501 neonati, mentre lo scorso anno i parti sono stati appena 7.446, in crescita rispetto ai dati del triennio precedente, ma pur sempre un quarto in meno rispetto all’andamento del primo decennio del secolo. E, seguendo il trend generalizzato, la parabola appare destinata a proseguire la propria corsa discendente: le proiezioni per il 2024 parlano di 7.350 parti, a cui vanno sommate le 140 nascite legate alle donne che lavorano nella Base Usaf di Aviano.
Il tema è, inevitabilmente, anche politico. Basti pensare alle recenti chiusure dei Punti nascita di Palmanova e San Vito al Tagliamento e alle polemiche che le hanno accompagnate. «L’operatività dei Punti nascita è una questione senza dubbio rilevante, ma talvolta ci si concentra su questa senza pensare a quali ambiti siano effettivamente cruciali per la riorganizzazione del sistema sanitario regionale – riflette ancora Riccardi –. Penso in particolare alla chirurgia e al Piano della rete oncologica regionale, che abbiamo approvato recentemente in giunta e che sarà discusso in Consiglio delle Autonomie locali e in commissione».
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