Riapre il passo di Monte Croce Carnico, e ora? I pareri degli esperti

Pubblichiamo le opinioni di Maurizio Ponton, ex docente di Geologia all’Università di Trieste, e di Denis Baron e Mirco Dorigo, di Patto per l’Autonomia Alto Friuli

A sinistra Il fontanon a Timau, nel quale confluisce un complesso idrico sotterraneo. A destra i lavori sul passo Monte Croce
A sinistra Il fontanon a Timau, nel quale confluisce un complesso idrico sotterraneo. A destra i lavori sul passo Monte Croce

In occasione della riapertura del Passo Monte Croce Carnico, di sabato 25 gennaio, pubblichiamo due interventi di esperti sulle soluzioni per risolvere per sempre le criticità. Dai rischi sulla falda al tema centrale del finanziamento, ecco i pareri di Maurizio Ponton, già docente di Geologia Strutturale e Rilevamento Geologico all'Università di Trieste e di Denis Baron e Mirco Dorigo, di Patto per l’Autonomia Alto Friuli.

 

L’ipotesi del tunnel e i rischi sulla falda: una valutazione che va oltre i costi

di Maurizio Ponton

Dopo aver seguito le argomentazioni di politici, tecnici e ambientalisti sui temi legati alla gestione delle piene del Fiume Tagliamento e della viabilità al Passo di Monte Croce Carnico ritengo indispensabili alcune considerazioni per fare chiarezza mettendo le vesti del geologo ricercatore conoscitore della natura e delle dinamiche della superficie e del sottosuolo sia nella parte solida che in quella idrica.

Nella scelta da parte del decisore di progettazione ed esecuzione di opere sul territorio tre sono i fattori fondamentali: fattore sociale, legato alle necessità di una comunità umana; fattore ambientale, legato all’impatto sull’ecosistema ma anche sulla comunità umana per le conseguenze quali dissesti e squilibri idrici; fattore economico, legato sia ai costi di esecuzione, esercizio e di riparazione dei danni nel tempo, sia ai benefici. Siccome le opere incidono su un territorio limitato nello spazio devono essere progettate a beneficio della comunità che vive in quel territorio.

Nel caso del Tagliamento parliamo di un ampio bacino idrografico nel quale vive una buona parte delle comunità della Regione con esigenze diverse. Per affrontare un nuovo progetto che insiste su questa realtà va tenuto conto dell’intero bacino allo stato attuale delle cose e con una visione integrata della realtà. Negli anni ’50 del secolo scorso è stato realizzato un vasto sistema di captazione e accumulo delle acque della zona montana per la produzione di energia idroelettrica.

Opere hanno avuto un impatto enorme sia in termini ambientali, sia sociali a fronte di una positiva produzione di energia “pulita”. Se però nella gestione di opere esistenti la priorità è la produzione e il beneficio economico per soggetti esterni alla comunità del bacino allora viene meno la considerazione del fattore ambientale e quindi in parte di quello sociale; i danni sulle comunità sono maggiori dei benefici. Una corretta gestione può essere solo pubblica regionale.

A questo punto gli invasi potrebbero essere utilizzati al meglio per la regolazione del deflusso in alveo e la laminazione delle piene a monte. Un regolare deflusso garantisce un regolare afflusso di acque nelle falde della pianura. Quanto alle piene a valle si tratta di rispettare e favorire le naturali aree di espansione del Tagliamento occupate da colture e per le quali, nei rari episodi alluvionali importanti, i previsti risarcimenti sarebbero più economici di opere faraoniche quali traverse.

Nel caso del Passo di Monte Croce Carnico, assodata la necessità di realizzare un collegamento fra le due comunità va considerato il fattore ambientale in quanto questo è un territorio fragile con una morfologia giovane ancora in una fase di ricerca di un equilibrio, con alcuni versanti rocciosi ripidi a rischio di grandi frane e presenza di un complesso idrico sotterraneo che confluisce nel Fontanone di Timau il cui bacino giunge fino sotto il Gruppo del Coglians e che è già scalfito dalla presenza dell’oleodotto sotterraneo Siot. Da questa importante sorgente dipendono l’acquedotto e la centrale idroelettrica Secab della valle del But, ottimo esempio di gestione locale delle risorse.

Attualmente la tecnica permette di realizzare quasi tutto e purtroppo spesso per un progetto ci si rivolge solo ai tecnici che sanno tutto di scavo, di materiali e calcoli delle opere ma quasi nulla della natura profonda del terreno, di stabilità e di flussi d’acqua sotterranei di una certa area, indispensabili complementi per un progetto. Queste nozioni vengono dai geologi ricercatori che studiano il territorio.

La realizzazione di un tunnel stradale, quindi con una sezione di parecchi metri, in questa situazione comporta un impatto sulla falda acquifera con dimensione delle conseguenze difficili da prevedere oltre che incidere in profondità sulla staticità dei versanti in alcuni punti quasi verticali, inoltre il notevole volume di materiale di scavo della galleria richiede una adeguata collocazione in sicurezza.

I costi sono in ogni caso alti. In questi casi dovendo realizzare una viabilità si deve cercare un versante con una natura litologica più stabile, meno ripido e meno sottoposto a caduta massi su cui costruire una strada che ha si un impatto ma inferiore, viste le condizioni, che ha costi di esercizio diluiti nel tempo.

L’eccessiva fede nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità che non tiene conto delle regole della natura può portare ad anticipare fenomeni che vanno a danno esclusivo dell’uomo.

 

Viabilità alternativa e traffico, i quesiti irrisolti e il fattore tempo

di Denis Baron e Mirco Dorigo

Il ripristino della viabilità compromessa alla fine del 2023 dalla frana sul Passo di Monte Croce, è un fatto cruciale per il presente ed il futuro della Valle del But e della Carnia intera. Proprio per questo, nel consapevole e oggettivo riconoscimento della complessità della questione (sia in merito alla temporanea riapertura della viabilità esistente, sia nel processo di individuazione e realizzazione della sua futura alternativa) la chiarezza ci pare un aspetto determinante, considerata l’entità plurima dei soggetti interessati alla sua risoluzione.

Se la riapertura del 25 gennaio, nella monca parzialità con cui avrà luogo, appare più utile a una rivendicazione politica di risultato che alla popolazione, sui progetti futuri si riscontra una certa confusione. Nella speranza di diradare le nubi dell’incongruenza delle varie dichiarazioni rilasciate negli ultimi tempi da esponenti della maggioranza che governa la Regione, vorremmo porre una serie di questioni all’attenzione del presidente Fedriga.

La prima è che sarebbe auspicabile capire chi sta discutendo con le autorità carinziane, l’Anas ed il Ministero dei Trasporti per individuare la migliore soluzione per un collegamento viario stabile in alternativa alla viabilità attuale: l’assessora regionale alle infrastrutture o il vicepresidente del Consiglio?

Viste le dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo, è legittimo chiedersi quale sia il suo ruolo e il mandato a lui affidato da parte della Giunta regionale a trattare con le autorità italiane, carinziane, austriache e finanche europee rispetto alle ipotesi di tracciato, o se invece queste esternazioni siano del tutto estemporanee.

Ci chiediamo poi se sulla scelta del traforo cosiddetto “alto” si stiano effettivamente allineando la Regione, le istituzioni carinziane e austriache, il ministero dei Trasporti, così come dichiarato dal vicepresidente del Consiglio regionale o se le ipotesi sono tutte ancora al vaglio da parte delle autorità, in particolare quelle nostrane, come riferito dall’assessora competente Amirante.

Sarebbe interessante sapere quali sono state le reazioni delle autorità carinziane di fronte all’ipotesi di realizzare un traforo, soprattutto in considerazione del fatto che gli accordi stipulati nei decenni passati e le opere viarie realizzate dalla Carinzia sono andati in tutt’altra direzione.

Quale che sia l’opera scelta, uno dei temi centrali è quello del finanziamento di questa infrastruttura e di quanto la Regione ha intenzione di stanziare per la realizzazione della viabilità alternativa a quella esistente. Fino ad oggi segnali in questo senso non ce ne sono stati, anzi, l’emendamento della minoranza che proponeva di stanziare per questa viabilità 50 milioni di euro per la legge finanziaria 2025, prevedendo un accantonamento di risorse per una situazione particolarmente importante come fatto in passato per altri investimenti, è stato bocciato dal centrodestra.

Nel caso in cui l’opzione tunnel sia sul tavolo della Regione, un ulteriore aspetto da considerare è quello dell’apertura al traffico pesante, che, stando alle dichiarazioni del vicepresidente del consiglio regionale sarebbe vietato, mentre alcuni rappresentanti del mondo economico italiano e austriaco si sono espressi a favore del tunnel proprio perché più funzionale al traffico delle merci.

Abbiamo letto anche che il tunnel sarebbe indispensabile perché le zone montane dotate di grandi infrastrutture viarie sono meno soggette a spopolamento e godono dei frutti di maggiore sviluppo economico e sociale. Considerata la viabilità che è stata sviluppata nel secolo scorso, sarebbe interessante chiedere cosa ne pensano le persone che vivono in Val Canale e Canal del Ferro, e leggere con attenzione i dati socioeconomici dei comuni che fanno parte di quel territorio.

Infine ci chiediamo se è stata fissata dalla giunta regionale una data limite entro la quale individuare e poi realizzare una soluzione definitiva per la viabilità alternativa all’attuale tracciato in prossimità del passo di Monte Croce Carnico. Assieme a noi crediamo se lo stiano chiedendo tutte le persone che abitano nella Valle del But. Auspichiamo che a tali domande possa esserci una risposta, non potendo lasciare il futuro del territorio in balia di posizioni improvvisate e/o insostenibili, seppur dotate della più convinta buona fede.

 

 

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