Terremoto, per la ricostruzione nel Centro Italia l'unico modello è quello del Friuli

Gli amministratori del 1976, a pochi giorni dal 41simo anniversario del sisma che sconvolse la nostra regione, sollecitano il Parlamento e il Governo trasformare in norme di gestione dei terremoti

UDINE. Il modello Friuli, l’unico riuscito, non è mai più stato ripetuto nonostante, dal 1976, nuovi terremoti abbiano distrutto altre regioni d’Italia.

A pochi giorni dal 41° anniversario del sisma che nella nostra terra provocò più di mille morti, le associazioni dei consiglieri regionali e dei sindaci del terremoto sollecitano il Parlamento, il Governo e la Regione a trasformare il modello Friuli in una serie di provvedimenti legislativi, tecnici e amministrativi per affrontare «senza tesi abborracciate» le nuove emergenze.

L’esempio più attuale è la nomina del commissario straordinario alla ricostruzione nell’Italia centrale: «Togliere agli enti locali e alle Regioni la responsabilità della ricostruzione e il conseguente rapporto con le popolazioni, è stato un grosso errore», ha chiarito il presidente dell’Associazione dei consiglieri regionali, Dario Barnaba, convinto che tutto ciò «porterà numerosi errori».

A iniziare dai ritardi. I due sodalizi, nel palazzo della Regione, a Udine, hanno presentato un documento indirizzato ai vari livelli istituzionali. Chi ha vissuto in prima persona quell’esperienza non accetta più che dagli applausi non sia ancora nato nulla. «In Friuli - ha ribadito Barnaba - non c’era il commissario alla ricostruzione, l’intero processo della ricostruzione venne governato dai sindaci, dal consiglio e dalla giunta regionale, dall’università di Udine e dalle forze politiche sociali presenti sul territorio».

Detto che dopo il Friuli, lo Stato non ha più delegato le Regioni e quindi i Comuni, l’ex assessore alla Ricostruzione, Roberto Dominici, ha evidenziato che «in quella triangolazione, pur essendoci scontro e confronto, non c’è mai stata confusione».

Da qui la domanda: «Se in un periodo in cui si doveva decidere con urgenza, perché non dovrebbe funzionare oggi?». Sulla base dell’esperienza maturata sulle macerie dei paesi distrutti, i consiglieri regionali e i sindaci di allora propongono alla Regione «di rivedere il suo rapporto con il sistema delle autonomie, di mantenere la competenza sull’attività legislativa, sul controllo e sugli indirizzi per delegare la parte gestionale ai Comuni».

Questa operazione, ha chiarito Dominici, «si può fare, lo Statuto vigente lo prevede. Non occorre invocare nuove norme costituzionali, può diventare un esempio di gestione innovativo anche per le altre Regioni». Un modello che non piace a chi vuole centralizzare il potere: forse questa è la ragione del mancato decollo. Ad affermarlo chiaramente è lo stesso Dominici secondo il quale «per applicare il modello Friuli occorre che lo Stato abbia voglia di delegare le competenze alle Regioni e ai Comuni ed è chiaro che in un periodo di accentramento non esiste questo presupposto».

Occorre anche - sono sempre le parole di Dominici - «che la gente si dia da fare. È giusto aiutare chi ha perso tutto, ma la gente deve essa stessa diventare attrice dell’azione di rinascita». In Friuli è stato così. Quindi se c’è qualche “resistenza” va demolita. La Regione può farlo facendosi promotrice con lo Stato affinché colga «nelle forme più opportune, gli elementi sostanziali per le future necessità».

Dominici sa bene quanti problemi sono stati affrontati negli anni successivi al 1976: «La ricostruzione è stata un’opera complessa, portata a compimento - ha concluso - per l’unità di intenti e le energie disponibili frutto di scontri e confronti. Sarebbe un peccato che tutto questo restasse nella nostra casa regionale e non fosse di aiuto alla gente che si trova in condizioni analoghe».

Su questo punto l’ex sindaco di Ragogna, Lorenzo Cozianin, è stato ancora più incisivo facendo velati riferimenti alle riforme che vengono discusse dopo averle approvate e non prima, come accadde ai tempi della ricostruzione. «La prima forma di protezione civile è la partecipazione», ha affermato l’ex primo cittadino nel dirsi convinto che il Friuli è rinato grazie al decentramento che esigeva la partecipazione della gente. Rivolgendosi ai politici attuali, Cozianin li ha invitati ad aiutare le comunità.

«Quando mettiamo mano al tessuto storico, stiamo attenti a non snaturare le comunità: la soluzione o è locale o non ci sarà». La spinta deve arrivare dal basso, dal luogo colpito dal terremoto, ce lo ha insegnato il post 1976 quando, ha ripetuto Cozianin, «dovevamo farcela tutti. Non bisognava lasciare indietro nessuno». In quella stagione anche la politica «ha fatto autoformazione sul campo» lo conferma il fatto «che quella stagione ha espresso la miglior classe politica».

E ancora: «Se costruiamo la Repubblica dei capi senza tener conto di niente si fanno errori, si abbandonano le persone per fare le cose quando dovrebbe essere l’inverso». Bocciato il famoso ghe pensi mi espresso da Berlusconi a l’Aquila, Cozianin ha concluso dicendo che «la nomina del commissario alla ricostruzione dell’Italia centrale delegittima tutti».

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