L’attesa, l’inquadramento e la marcia tra ali di folla: dentro l’adunata degli alpini
I complimenti della gente ai margini della strada e alle finestre accompagnano la sfilata, le fanfare dettano il passo. «Viva Udine» e «Viva la Julia» commuovono penne nere e spettatori
UDINE. L’ammassamento per gli alpini delle sezioni 1 e 2 di Udine è in via Di Toppo. Il programma recita: partenza alle 20, ma la pioggia ha scoraggiato qualcuno e gira voce che si partirà almeno un’ora prima.
Alle 17, credendo di essere abbondantemente in anticipo, giro l’angolo di via Gemona e mi trovo davanti agli alpini della Protezione Civile regionale. Sono pronti: già in fila e con lo striscione in mano. Dietro, un mare di penne nere: vecchi alpini sulla carrozzina; due muli tenuti a debita distanza, non si sa mai che parta un calcione; cappelli, di chi è andato avanti, appoggiati su cuscini sorretti da amici, parenti, semplici conoscenti «perché io – spiega un uomo – non ho fatto il militare e mi sembrava giusto che a fare sfilare il cappello di mio suocero fosse un alpino».
Continuo a risalire via Di Toppo in cerca di qualche faccia conosciuta e degli alpini della sezione di Udine Sud: dovrei sfilare con loro. Con me su quel marciapiede, apparentemente spaesati, un paio di ufficiali ultrasettantenni. Cercano un posto, uno qualsiasi, per potere sfilare. Non importa a fianco a chi: «Tanto siamo tutti fradis».
Altri fanno su e giù ai lati del marciapiede scrutando la situazione: le file da nove non sono ancora formate. Siamo tutti pronti, ma c’è ancora tempo. Ogni tanto arriva qualche richiamo all’ordine: «Cercate di stare composti che dobbiamo trovare posto a tutti», grida un alpino con addosso il corpetto del servizio d’ordine. Si chiama Ivano Turco ed è di Talmassons. Una penna nera sui sessant’anni, di un metro e 70 centimetri, tutto nervi e muscoli e il cappello con decine e decine di medaglie, la prova che di adunate ne ha perse poche.
Non passa molto tempo che Turco comincia a spazientirsi: «Allora, signori, file da nove. Uno, due, tre... dieci! Qui siete in dieci!». Urla. «Dai su, non perdiamo tempo. Uno scala dietro. Tu, vai dietro».
Il gioco degli incastri dura qualche minuto. Gli amici vogliono stare vicini; quelli della stessa sezione che per l’occasione hanno la stessa maglietta o lo stesso giubbotto anche. E così lo scalare all’indietro può farti arretrare di tre o sette file. Finalmente quasi tutti hanno il loro posto: sono le 17.30 e mancano due ore e mezza. E sì perchè adesso la voce è cambiata: il tempo recuperato è di nuovo perso.
Davide Pelosin è un alpino sui quarant’anni del gruppo di Reana. Anche lui tiene fra le mani un cuscino con sopra appoggiato un cappello. Sulle spalle porta uno zaino. «È il cappello di un mio amico, si chiamava Lorenzo La Vittoria. Era un sergente maggiore dell’Ottavo reggimento di Venzone con cui ho fatto parte del servizio militare. È morto in un incidente stradale. Se n’è andato troppo presto e oggi l’ho portato con me».
La fanfara posizionata davanti alla sezione 2 di Udine prova ad ammazzare il tempo: due colpi di tamburo e partono le note del “Trentatré”. Applausi. Ma i musicisti cento metri più avanti non ci stanno: “O ce biel cjscjel a Udin”. Ancora applausi.
Sono le 19 e Turco, sempre lui, avverte: «Dai che ci siamo». Venti minuti dopo, ma in otto, si parte. Uno degli alpini di Reana non si trova più. Turco, nel giro di pochi secondi fa scalare tutti. Dieci metri dopo siamo di nuovo belli che inquadrati, nove per fila.
In piazzale Osoppo siamo tra due ali di folla. Lo speaker sistemato in alto, su un palco realizzato per l’occasione, grida al microfono: «Ecco Udine! Grazie Udine avete organizzato una grande adunata».
La gente applaude e grida “viva gli alpini”. Alcuni riconoscono gli amici: si chiamano. I saluti si sprecano. C’è gente a ogni finestra e sui balconi. Papà con i bambini sulle spalle. Telefonini e macchine fotografiche puntate. Quando siamo a metà viale della Vittoria ci fermiamo per la dodicesima volta. Una decina di secondi e, poi, di nuovo avanti a tempo di fanfara. Ci fermeremo altre dodici volte prima di raggiungere il semaforo di piazza I Maggio, ma sarà l’ultima pausa.
Ed ecco di nuovo Turco. Con tutta la voce che ha in gola grida: «Viva Udine», e tutti rispondono «Viva Udine». Sia noi che sfiliamo sia la gente assiepata a bordo strada. E ancora «Viva Udine, viva Udine».
Poco più indietro un collega di Turco non ci stà: «Viva la Julia!» e tutti rispondono allo stesso modo. Tre, quattro volte. Lo stesso fa al microfono lo speaker di piazza I Maggio. È una voce sola, forte che si alza verso l’angelo del castello: «Viva la Julia, viva Udine». Sarà così fino in via Aquileia. Applausi, urla, complimenti.
Udine ha fatto le cose in grande: gli alpini, le forze dell’ordine, l’amministrazione e anche Ivano Turco che, commosso, stringe le mani. È stata una grande adunata. —
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