Racconti di naja, le storie dei nostri lettori

Aspettando l’adunata, ecco il portale dedicato agli alpini: inviateci per la pubblicazione i vostri racconti e le immagini di quel periodo

Daniela Larocca
Il murales realizzato da Simone Mestroni per l'Adunata di Udine
Il murales realizzato da Simone Mestroni per l'Adunata di Udine

La naja. Molti degli alpini ricordano con nostalgia quel periodo lontano e vicino, fatto di fatica e impegno ma ricco di emozioni e di valori sinceri quali l'amicizia, il senso di appartenenza, la solidarietà e la condivisione fraterna.

Aspettando la 94esima adunata nazionale degli alpini, in programma a Udine dall’11 al 14 maggio, abbiamo deciso di creare un album di ricordi aperto e condiviso con tutti i nostri lettori a cui chiediamo di inviarci i racconti e i ricordi di quegli anni di naja, le amicizie e gli aneddoti in caserma.

Come fare?

Abbiamo aperto un portale per le raccogliere le vostre storie: basta accedere qui e compilare il modulo con tutte le informazioni richieste. Non pubblicheremo ricordi anonimi o messaggi che possono incitare all’odio e con un linguaggio inopportuno. Di seguito, invece, riportiamo le testimonianze rilasciate dai lettori. 

«La mia morosa si chiamava Liliana, il mulo si chiamava Liana»

«A vent’anni - nel ’52 - sono stato chiamato per il servizio militare. Sono stato destinato al G.A.R. (Gruppo Addestramento Reclute), Terzo Reggimento Artiglieria di Montagna. Mi sono presentato a Padova dove ho seguito l’addestramento. In questa caserma si stava bene e io ero stato assegnato in fureria, addetto alle spese alimentari. Oltre alla sussistenza militare era necessario comperare alimenti freschi nei negozi di Tolmezzo.

In fureria era stato richiesto di destinare alcuni uomini al corso di RT Radiotelegrafista: ho chiesto al capitano Tringali se potessi partecipare perché pensavo anche che potesse essermi d’aiuto per un piccolo disturbo all’udito.

Dopo diversi anni che il disturbo era peggiorato ho consultato un medico amico. Mi ha detto che non c’era niente da fare, c’era solo una medicina che lui non consigliava (uno sparo con la pistola nella tempia). Il mio disturbo si chiama acufene, dovuto a esplosioni molto forti senza alcuna protezione. L’acufene è sempre una compagnia per me: mi dicono che sento poco, ma mi basta quello che sento.

Il capitano Tringali ha acconsentito di mandarmi al corso RT, sono venuto a Udine ed ho seguito il corso che ci istruiva a usare la radio trasmittente in viva voce e anche con alfabeto Morse. A Udine ogni sera, finito il corso, saltavo dalla finestra del secondo piano e prendevo la Vespa che tenevo parcheggiata da un meccanico vicino alla chiesa della Madonna delle Grazie. Mi recavo a vendere qualche attrezzo nei paesi vicini, arrivavo a cena a casa e rientravo in caserma. Finito il corso RT sono rientrato a Tolmezzo con la qualifica. In fureria era arrivato l’ordine per il precampo invernale.

Siccome servivano anche radiotelegrafisti mi sono offerto ed il capitano ha accettato. Il tenente friulano simpatico e un po’ matto ha subito ordinato “al tubo, aquile tutta la notte e partenza alle 2 con radio e mulo”. Sono stati due o tre cappelli di acqua gelati sulla testa in branda (erano le “aquile”), alle 2 sveglia e partenza.

Il mulo era una mula, si chiamava Liana e non Liliana come la mia morosa, era brava e anche simpatica. Durante la marcia ogni tanto mi dava una piccola spinta nello zaino perché nel mio zaino c’era sempre una buona scorta di croste di formaggio grana che il mio amico magazziniere mi procurava. Si chiamava Martin, era di Latisana e quando si è sposato mi ha voluto come testimone.

A Liana davo una crosta che masticava piano facendo un simpatico rumore».

Renzo Osso, 90 anni, Palmanova

Da Teramo a Pavia di Udine

«Ho fatto il CAR a Teramo, poi passato per l'Aquila, infine giuramento solenne ad Avezzano e corso trasmissioni alla Cecchignola di Roma. Gli ultimi otto mesi sono stato al battaglione Logistico alla caserma Piave di Udine»

Michele Puppi, 59 anni, Cordenons

Tradizioni e glorie delle truppe alpine

«Nel parco naturale Fanes-Sennes-Braies, una sinuosa strada, nel silenzio risale il grande altopiano. Prati verdi, pinete, rocce appuntite sono lo scenario di molte leggende che riguardano principesse, folletti e maghi, sapientemente tramandate, fino a oggi di generazione in generazione, dalle genti ladine. Una lunga colonna di uomini e muli, nelle conca tra Plan De Corones, il Pizzo delle Pietre e Paraccia da una parte, e dal monte Pares e Piz de Plaies dall'altra parte, sotto una fitta pioggia, risale la Val di Rudo, dai 1.285 m di San Vigilio di Marebbe ai 1548 del Pederü.

Nel folto della foresta di pino cembro e larice la 77a Batteria del 2° Reggimento Artiglieria da Montagna monta le tende della base che la ospiterà per tutta la durata del campo estivo/scuola di tiro. Non tutti riescono subito a inserirsi allo splendido scenario dominato dalla Croda di Tamores, dei picchi, degli strapiombi.

Ad alcuni sembra di aver vito simili panorami solo nei film western dove, all’imbocco del canyon, i pellerossa assaltano la colonna di pionieri. Ma qui non ci sono le “giacche blu” o l’intrepido cow boy che arrivano a salvare la capigliatura dei visi pallidi. Anche qui ci sono uomini con la penna, ma questa svetta fiera sul loro Cappello Alpino. Sono giovani che devono lottare contro le piccole e grandi cose del quotidiano che li aspetta.

Tutti però si adattano ben presto alla vita del campo, non c’è tempo per trovare delle difficoltà. Giornalmente, risalendo una ripida e stretta gola, inerpicandosi lungo gli stretti tornanti della vecchia strada militare, costruita dai Kaiserjäger austriaci durante la Prima Guerra Mondiale, si raggiunge un esteso altopiano calcareo dove l’orizzonte si apre offrendo la splendida vista sull'Alpe di Sennes, la Croda Rossa il Monte Cristallo e il Sorapiss.

Raggiunti i 2116 m. dell’Alpe di Sennes, gli Artiglieri mettono in batteria i quattro mortai da 120 iniziando la lunga serie di attività di tiro che si protrarrà per i giorni a venire. A sera, quando si torna al campo, non sempre è possibile trovare posto nell’accogliente stube del Rifugio Pederü. Davanti alle tende, fra i pini secolari, è così possibile vedere la luce della tremula fiammella di una candela oppure ardere un piccolo falò attorno al quale si riuniscono “vecchi” e “matte” del Verona. Non ci sono più distinzioni di grado o anzianità.

Si chiacchera, qualcuno tira fuori la fotografia della morosa, qualcun altro fa girare un fiasco di vino sottratto dalle cucine o, ancor meglio, dalla mensa ufficiali. Infine una voce solitaria intona una canto: Su pei monti, su per monti che noi saremo… oppure: Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà…

Man mano altre voci si aggiungono, la sommessa melodia diventa coro. D’incanto anche la “matta” non si sente più “matta”. I “salvans” (uomini selvatici) e le”ganes”(donne selvagge, compagne dei salvans) che, secondo le leggende, vivevano nei boschi e nelle grotte di questa valle hanno fatto il miracolo?

Più verosimilmente il merito deve essere attribuito al preciso fuoco dei mortai, alle responsabilità e fatiche condivise, la suggestione dei luoghi, la consapevolezza dell’essere in grado di portare avanti tradizioni e glorie delle Truppe Alpine».

Gian Luigi Ceva, 81 anni, Valenza (Alba)

Il congedo anticipato per terremoto

«Partito da Gemona del Friuli per Viterbo alla scuola centrale VAM il 20 ottobre del 1975 in aviazione. Poi trasferimento a Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, in attesa di essere mandato a Rivolto nella casa delle Frecce Tricolori. Ma arrivò il 6 maggio del ‘76 mise che fine alla mia naja. A chi era residente nelle zone disastrate venne dato un congedo anticipato».

Ennio Rizzi, 67 anni, Gemona del Friuli 

«La cartolina mi arrivò l’anno del terremoto»

«La mia è stata una naja strana. Sono di Corno di Rosazzo e quando ho ricevuto la famosa cartolina era fine aprile 1976, l’anno del terremoto. La chiamata era prevista l’11 maggio. 

Nel frattempo, come tutti noi friulani sappiamo, il 6 maggio abbiamo vissuto la nostra più grande tragedia. In quei giorni di grande confusione, non sapendo bene come fare, mi sono rivolto al sindaco e ai carabinieri per capire se dovessi o no partire. Tutti mi hanno consigliato di farlo (rischiavo la diserzione): dovevo presentarmi a Belluno (anziché a Tolmezzo), cosa che ho fatto.

Il giorno dopo, il 12 maggio 1976, mi hanno rimandato a casa: l’ordine era che i friulani non dovessero partire. Dovevo solo aspettare il congedo. Però, dopo appena qualche giorno, ricevo una nuova cartolina nella quale mi si diceva di presentarmi a Trento.

Di nuovo il solito giro: sindaco, carabinieri… anche questa volta partii e tornai a casa. Rientrai a casa un anno dopo: ho fatto tutta la naja dormendo in baracche, tende e tettoie. Sono stato forte, mai avuto influenza o malanni.

Ho fatto campi estivi e invernali (con i turni di guardia a -15 gradi sotto zero). Rifarei tutto: è stata un’esperienza bellissima, gratificante e coinvolgente.

Mi sono sempre chiesto perché nel mio comune, chi non era partito, ha rinunciato a fare la naja. Ancora adesso, come un piccolo tarlo, i miei disguidi mi tornano in mente. E mi fanno sorridere». 

Nicola Lemme, 66 anni, Corno di Rosazzo

Alpini per un anno, fratelli per tutta la vita

«Ho fatto la naja, dal 1996 al 1997,al 3 Rgt. Art. da Montagna. Un anno indimenticabile, grandi amici che a distanza di anni, se possibile, si incontrano ancora. Se mi chiedessero di rifarlo, non esiterei un minuto. E poi ad ogni raduno o adunata ci si sente come una famiglia. Alpini un anno, fratelli per una vita»

Silvio Casasola, 45 anni, Tolmezzo

Dieci mesi bellissimi

«Dieci mesi bellissimi, inizialmente duri, poi passati tra le amate montagne. Un’esperienza bellissima porterò sempre con me» 

Michele Giordani, 46 anni, Udine

La notte del terremoto del 1976

«La gnot dal taramot.

Sîs di Mai dal setantesîs. A jerin lis nûf,o jeri a dirmi,a le stât un minût ma a semeavin dos,o ai pensat che a fossin lis striis,invezit al jere l'Orcolat,che in Friûl tanto dam al à fatto. Non vin vût timp di vai e jere l'ore di tirâsi si lis maniis e di ricostruî.

Une cjadene di solidarietât, maj plui il Friûl al è stât fuart.Prime il lavôr,dopo il dolôr,ma par ducj voaltris tant amor.Si à lavorât di dì e di gnot,che di sudôr nol è vignût jù nancje un got.I muarts no son mai dismenteâts,Intal cûr a son simpri puartâts.

Ducj i Furlans dal setantesîs us disin grazie Alpins, grazie Amîs.No molìn mai e o tignìn dir,vive la Patrie,vive il Friûl. Ce biel ch'al è stât fa' lAlpin di militâr».

Daniele Cantarutti, 58 anni, Gorizia

Gli alpini resteranno sempre nel cuore

«Mio papà (classe 1927 alpino negli anni subito dopo la guerra) mi raccontava sempre del viaggio a Roma per il Car e di un suo compagno di naja. Si chiamava Vittorio, da Montecchio Maggiore (Vicenza). Con lui condivise giornate splendide e in dimenticabili. Ora mio papà non c’è più da anni, chissà se si sono ritrovati lassù o se magari il suo amico è ancora fra noi e si ricorda di quel friulano. Riposate in pace alpini. Tutti voi siete andati avanti, sì, ma siete anche rimasti qui nel cuore di chi vi ha amati. E di chi vi ama ancora.

Mandi papà, mandi Remo»

Barbara Vidoni, 59 anni, Artegna

L’ultima notte di naja tra saluti e pianti con il mulo

«Marzo 1970, destinazione Venzone, battaglione Tolmezzo. Inizia qui l'esperienza di un reparto composto da molti ragazzi che, pur provenendo dalla scuola militare alpina, erano analfabeti. Per loro c’era una giovane maestra che teneva un corso. Io non tolleravo sempre le disposizioni assurde del mondo militare. Ero solo un ragazzo. E poi un giorno la nuova destinazione: Paularo. 
 

Qui ho conosciuto ragazzi che probabilmente erano pastori o contadini e che, per aiutare la famiglia, inviavano a casa tutta la paga: 1580 lire, ogni dieci giorni. Non si potevano permettere neanche un caffè e così, quando uscivamo in marcia, li facevo fermare davanti ad un osteria e offrivo loro un panino e una birra avendo io la paga di sottotenente.

L'ultima notte di naja l'ho passata in camerata con i conducenti e quelli che terminavano il servizio all'indomani: per tutta la notte hanno fatto la spola con la scuderia per salutare il mulo con cui avevano condiviso tante fatiche per un anno e piangevano. Incuriosito andai in scuderia e sentii che consolavano il mulo dicendogli: vedrai, un nuovo conducente ti tratterà bene. Oggi sono trascorsi tanti anni ma quei ragazzi non li posso dimenticare».

Roberto Toffoletti, 73 anni, Udine

Dodici ore in marcia sotto neve e pioggia

«Alpino dell'ottavo battaglione Tolmezzo,di stanza nella caserma di Venzone negli anni 1967-1968. la bella. Dopo avere passate diverse avventure, ricordo una in particolare, al campo invernale. Era il febbraio del 1968, alle 5 del mattino dopo circa un’ora dalla partenza dallo stavolo dove avevamo la notte, ci trovammo davanti a un corso d'acqua ingrossato per la pioggia e la neve di quel periodo. Dovevamo per forza passare di lì: il primo fu il nostro capitano, poi toccava a noi. L’acqua ci arrivava alla gola. abbiamo proseguito la marcia che si è conclusa alle 5 del pomeriggio. Dodici ore dopo, tutti inzuppati, sotto neve e pioggia. Ma non ci venne nemmeno un raffreddore. 
Mandi»

Luigi Vittor, 76 anni, Gemona

L’anno del mio matrimonio

«Facevo parte del gruppo sportivo della Julia nel 1981, giorni indimenticabili per tutti i ricordi giovanili. Quell’anno mi sono sposato e ancora ne parlo con lei.

Livio Zamparutti, 61 anni, Majano

Passioni da piccoli

«Io alpino già da bambino»

Mario Cabrini, 60 anni, Ponte Nossa (Bergamo)

 Il capodanno con la bottiglia di Picolit

«Primo scaglione 1974, a L'aquila. Eravamo al corso di arciere a Sesto Fiorentino (i mesi erano giugno, luglio e agosto) e poi di nuovo a L'aquila con il colonnello Marinoni. Mi ricordo quel capodanno in caserma con i miei commilitoni, uno dei quali aveva portato da casa una bottiglia di ottimo Picolit».

Carlo Secolin, 69 anni, Villesse

Ancora amici dopo il congedo

«Battaglione Cividale a Chiusaforte, 20esima Compagnia. La Valanga scal. 9/88. Eravamo tutti 18enni spavaldi che arrivavano da ogni parte del Triveneto. E una volta congedati, siamo rimasti tutti amici affiatati. Ancora oggi, puntualmente e ogni anno, ci si ritrova per un pranzo dove ricordano le varie esperienze tra cui il mese a Pantelleria. Oltre al ritrovo ad ogni adunata».

Gianluca Vignando, 53 anni, Talmassons

Tutto per il permesso di Natale

«Ero di guardia alla polveriera di Pietra Tagliata e ricordo quando, in carenza di scope per la pulizia di cortile della caserma Bartolotti, e senza le lettiere per muli, il Tenente promise un permesso a Natale per chi realizzava delle scope. Ecco, forte degli insegnamenti di mio padre, nelle ore libere andai a raccogliere fasci di "Sanguinella" e con l'aiuto di tre commilitoni realizzammo una ventina delle suddette scope, ottenendo il prezioso permesso».

Giovanni Pivetta, 90 anni, Azzano Decimo

L’acqua gelata del torrente non fa paura a 19 anni

«Ho fatto il Car a Codroipo poi 3 mesi a Piacenza poi a Udine caserma Osoppo corso caporale a Tolmezzo poi caporal maggiore ma mi è rimasto un bel ricordo del campo in Abruzzo: lavarsi nel torrente con l'acqua gelata ma a 19 anni non si sente il freddo».

Flavio Serino, 62, Romans d’Isonzo

Orgogliosi di dire “Alpin jò mame”

«Codroipo, 8/1995: "Battaglione Alpini 'Vicenza'": un anno strano in cui si visse la dismissione della nostra caserma in primis e la fine della "naja di 12 mesi". Gli scaglioni successivi al mio, progressivamente, cominciavano a fare un mese in meno, fino alla decadenza dell'obbligo un anno dopo. Fu un periodo particolare, in cui il servizio militare sembrava perdere importanza: lo vivevamo come "parcheggiati", specialmente negli ultimi mesi in cui non arrivavano più reclute e noi eravamo solo impegnati ad archiviare le carte prima della chiusura definitiva; posso dire, però, che se una cosa rimase intatta nonostante tutto fu lo spirito di appartenenza al corpo, magari non capito da tutti durante il periodo del servizio militare, ma certamente compreso appieno negli anni successivi, quando, ritrovandosi, anche quelli più reticenti erano alla fine orgogliosi di dire "Alpin jò mame"!»

Alex Michieli, 49 anni, Udine

Gli alpini in trasferta«Sono un alpino In trasferta: vivo a Udine ma provengo da Torino. Ho prestato servizio con la Brigata Taurinense»  

Domenico Bertoldo, 63 anni, Udine

Imparare dal capitano 

«Ho un bellissimo ricordo di quegli anni. Erano il1969, 1970, 1971. Io ero un soldato della 34 batteria con il capitano Manlio Pomare. Lui ci portava spesso in marcia e ai campi. Era un vero militare da cui ho imparato tanto e senza averci mai scambiato una parola. Quando ho visto il suo necrologio sul Messaggero Veneto del 2008 ho pianto. Tante volte l’abbiamo ricordato con un suo amico d infanzia di Prato Carnico venuto ad abitare a Nimis»

Massimo Fabretti, 73 anni, Nimis

Esperienze e missioni indimenticabili 

«Sul calendario ho segnato la data del 16 marzo 1993, trent’anni fa, il primo giorno di naja. Tra i ricordi a me più cari ci sono la missione in Mozambico, il primo lancio col paracadute, i campi estivi ed invernali, i corsi sci e roccia ma soprattutto le amicizie, l'esperienza di misurarsi con eserciti di altri paesi. Indimenticabile».

Emanuele Feruglio, 48 anni, Tarcento

C’è chi non ha buoni ricordi

«Un anno di vita rubata»

Giordano Malisan, 71 anni, Bertiolo

Il modello del manuale degli alpini

«Verso la fine della naja (scaglione 2/84) venni scelto come "modello" per il manuale degli Alpini, che veniva consegnato al Car a tutte le reclute. Conservo ancora una copia»

Stefano Piccolo, 59 anni, Zoppola

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