Tradizioni e glorie delle truppe alpine
«Nel parco naturale Fanes-Sennes-Braies, una sinuosa strada, nel silenzio risale il grande altopiano. Prati verdi, pinete, rocce appuntite sono lo scenario di molte leggende che riguardano principesse, folletti e maghi, sapientemente tramandate, fino a oggi di generazione in generazione, dalle genti ladine. Una lunga colonna di uomini e muli, nelle conca tra Plan De Corones, il Pizzo delle Pietre e Paraccia da una parte, e dal monte Pares e Piz de Plaies dall'altra parte, sotto una fitta pioggia, risale la Val di Rudo, dai 1.285 m di San Vigilio di Marebbe ai 1548 del Pederü.
Nel folto della foresta di pino cembro e larice la 77a Batteria del 2° Reggimento Artiglieria da Montagna monta le tende della base che la ospiterà per tutta la durata del campo estivo/scuola di tiro. Non tutti riescono subito a inserirsi allo splendido scenario dominato dalla Croda di Tamores, dei picchi, degli strapiombi.
Ad alcuni sembra di aver vito simili panorami solo nei film western dove, all’imbocco del canyon, i pellerossa assaltano la colonna di pionieri. Ma qui non ci sono le “giacche blu” o l’intrepido cow boy che arrivano a salvare la capigliatura dei visi pallidi. Anche qui ci sono uomini con la penna, ma questa svetta fiera sul loro Cappello Alpino. Sono giovani che devono lottare contro le piccole e grandi cose del quotidiano che li aspetta.
Tutti però si adattano ben presto alla vita del campo, non c’è tempo per trovare delle difficoltà. Giornalmente, risalendo una ripida e stretta gola, inerpicandosi lungo gli stretti tornanti della vecchia strada militare, costruita dai Kaiserjäger austriaci durante la Prima Guerra Mondiale, si raggiunge un esteso altopiano calcareo dove l’orizzonte si apre offrendo la splendida vista sull'Alpe di Sennes, la Croda Rossa il Monte Cristallo e il Sorapiss.
Raggiunti i 2116 m. dell’Alpe di Sennes, gli Artiglieri mettono in batteria i quattro mortai da 120 iniziando la lunga serie di attività di tiro che si protrarrà per i giorni a venire. A sera, quando si torna al campo, non sempre è possibile trovare posto nell’accogliente stube del Rifugio Pederü. Davanti alle tende, fra i pini secolari, è così possibile vedere la luce della tremula fiammella di una candela oppure ardere un piccolo falò attorno al quale si riuniscono “vecchi” e “matte” del Verona. Non ci sono più distinzioni di grado o anzianità.
Si chiacchera, qualcuno tira fuori la fotografia della morosa, qualcun altro fa girare un fiasco di vino sottratto dalle cucine o, ancor meglio, dalla mensa ufficiali. Infine una voce solitaria intona una canto: Su pei monti, su per monti che noi saremo… oppure: Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà…
Man mano altre voci si aggiungono, la sommessa melodia diventa coro. D’incanto anche la “matta” non si sente più “matta”. I “salvans” (uomini selvatici) e le”ganes”(donne selvagge, compagne dei salvans) che, secondo le leggende, vivevano nei boschi e nelle grotte di questa valle hanno fatto il miracolo?
Più verosimilmente il merito deve essere attribuito al preciso fuoco dei mortai, alle responsabilità e fatiche condivise, la suggestione dei luoghi, la consapevolezza dell’essere in grado di portare avanti tradizioni e glorie delle Truppe Alpine».
Gian Luigi Ceva, 81 anni, Valenza (Alba)