Appello di Nonino: rispettare il pianeta e i suoi abitanti
L’imprenditrice leader della grappa parla del passato e del domani. «Il Risit d’Aur ha salvato Pignolo, Schioppettino e Tazzelenghe»
Giannola Nonino, nata Bulfoni, indiscussa regina della grappa, è difficile da fermare perché, ci confida lei stessa, è stata educata «da due genitori eccezionali e modernissimi. A me e a mia sorella dicevano: non siete né femmine né maschi, siete individui pensanti. Mirate lontano per arrivare almeno vicino, nel rispetto di chi vi sta accanto e non mollate mai». Ha rivoluzionato la storia della grappa, partendo da un’intuizione, dopo una cena da amici. Giannola Nonino sarà ospite domani all’Alfabeto del futuro, e al termine dell’incontro sarà offerta una degustazione dei prodotti dell’azienda.
«Andavamo ospiti. Tutti portavano whisky, cognac, champagne o fiori. Io e Benito – dice – portavamo la nostra grappa. Ma a fine cena non veniva mai offerta. Così una sera sono andata in cucina a chiedere alla signora di casa che fine facessero le mie grappe: le bottiglie erano sotto il lavandino per quando arrivavano l’idraulico o l’elettricista. Quando siamo saliti in macchina ho detto a Benito: da adesso parte la rivoluzione della grappa. Da Cenerentola deve diventare regina».
Imprenditrice in un mondo di uomini, come ha fatto a farsi prendere sul serio?
«Ho avuto il privilegio di avere accanto Benito, mio marito che contrariamente all’epoca mi ha sempre sostenuta condividendo le mie battaglie. Mi sono innamorata prima di lui e poi del suo lavoro, l’arte della distillazione. Sua l’idea di distillare in purezza un solo tipo di vinacce. Io ho contribuito a non mollare mai, come diceva mia madre, ad anticipare le innovazioni, a non fermarci davanti alle difficoltà, ma anzi a farci spronare da tutte le battaglie che abbiamo dovuto superare per il raggiungimento dei nostri obiettivi: creare la grappa migliore del mondo».
Alla sua distilleria è legato il Premio Nonino. Come è cominciata l’avventura di un premio che è diventato internazionale?
«Nel 1973 con Benito scoprimmo che non potevamo distillare le vinacce di alcuni vitigni autoctoni a causa di problemi burocratici: i vitigni che mio papà e mia mamma mi aveva fatto scoprire ed amare, come il Pignolo, lo Schioppettino e il Tazzelenghe, ufficialmente non esistevano più. Per salvarli, decidemmo di istituire il Premio Nonino Risit d’Aur a favore dei vignaioli che avessero accettato la sfida di preservare questi vitigni e ne avessero messo a dimora una o più varietà. Con il Premio Nonino e la sua giuria quei vitigni sono stati autorizzati alla coltivazione e salvati da morte certa. In seguito al Premio tecnico-scientifico fu aggiunta la sezione letteraria che dal 1983 divenne internazionale».
Il Premio Nonino ha anticipato per sei volte le scelte dei Nobel. Un ricordo di un incontro indimenticabile?
«Con l’amica Mara Altan, andammo a Parigi per anticipare a Claude Levi Strauss la vincita del Premio Nonino. Dopo averlo incontrato andammo a teatro per vedere l’amico Ugo Tognazzi. Nel foyer c’era Marcello Mastroianni. Emozionata mi presentai a lui: “sono Giannola Nonino, sono una sua ammiratrice. Rispose: “Nonino grappa?”. Sì dissi. “Sono io che mi inchino davanti a lei, adoro la sua Grappa”. L’anno successivo, senza preavvisarci, arrivò al Premio da quel momento ebbe inizio una splendida amicizia».
Cosa direbbe agli imprenditori del terzo millennio?
«Dobbiamo imparare a rispettare il pianeta, e chi lo abita, diceva Ermanno Olmi. Lo dobbiamo alle future generazioni».
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