Il testo andò perduto e non ci fu nessuno spettacolo: 76 anni dopo prende vita “La Morteana”, un atto unico inedito di Pasolini
CASARSA DELLA DELIZIA. Doveva essere un’opera comico surrealistica “La Morteana”, atto unico di cui è andato perduto il testo. Pier Paolo Pasolini, in una lettera indirizzata a Gianfranco D’Aronco, datata 29 novembre 1945, ne parla come di una commedia in un atto, il cui titolo “è ricavato da un verso del Colloredo” e ne annuncia l’imminente rappresentazione a Casarsa, da parte della “piccola Compagnia dell’Academiuta”.
Per difficoltà tecniche lo spettacolo non andò mai in scena, e il testo dell’opera è andato perduto. Però il manoscritto, sei facciate e mezzo di foglio di protocollo, relative alla battute del Fantat, è rimasto. Da quelle battute scritte a mano dal giovane poeta e drammaturgo, autore dei Turcs tal Friul, prende vita, “La Morteana. La part dal Fantat”, terzo evento della rassegna Lùsignis, organizzata dal comune di Casarsa nei borghi di Pasolini.
Lo spettacolo debutta domenica 7 novembre 2021, alle 16:00, nella corte ex Zuccheri, a San Giovanni di Casarsa ( al teatro Pasolini, in caso di maltempo) . In scena, con la regia di Massimo Somaglino e la produzione di Arearea, l’attore Klaus Martini, nella parte del Fantat, i danzatori Valentina Saggin, (il diaul), Anna Savanelli, (l’agnul), Andrea Rizzo (Toni Pansa muart), e i musicisti Mirko Cisilino, Laura Giavon, Giorgio Parisi. I personaggi, in ordine di apparizione Fantat, il Diaul, L’anzulut, il Muart, si muovono nello spazio di una notte. La poesia del Colloredo, da cui Pasolini rivela aver tratto la sua ispirazione, tratta degli effetti dei disordini di gioventù: gli abusi sensuali, gli eccessi del bere, faranno sì che in vecchiaia le ginocchia tremino in una sorta di danza della morte. Da cui il gioco di parole fra morte e Morteana, una danza effettivamente esistente in Friuli, probabilmente originaria di Mortegliano.
Il regista Somaglino usa la verità del corpo, ovvero la danza e il gesto contemporaneo di Arearea, la musica popolare e il canto, al posto di un testo a lacerti, di dialoghi a tre o a due che sono impossibili da ricostruire. Grazie alla bravura degli interpreti, le parole compaiono per lo spettatore pur senza sentirne i suoni. Solo il Fantat ha le battute, non l’angelo, né il diavolo, neppure il morto, eppure l’esito è quello di un lavoro teatrale suggestivo in cui i temi della morte, la religione, la Messa, il vino, il ballo, si intrecciano in una partitura che restituisce pienamente l’anima popolare, del teatro di poesia e atmosfera. La scrittura pasoliniana superstite, ha intatta la sua fascinazione e la volontà di ambientazione sociale nel testo è concretamente messa in scena. La miseria del Fantat, la sua fragilità, a tratti intensamente dolorosa, generano nel corto circuito della danza e della musica, un incanto solenne, misterioso.
Negli occhi rimane uno spettacolo saldamente agganciato alla terra friulana, alla sua gente e alle sue tradizioni, con interpreti decisamente all’altezza di una drammaturgia che è come un sogno, in una lingua bellissima, il friulano di Pasolini.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto