Latitano, si eclissano, sono compagni di giochi dei loro figli: ma che fine hanno fatto i padri di una volta?
Mario Perrotta, regista, drammaturgo e attore porta in scena a Teatro Contatto 39x365, “In nome del padre”, primo spettacolo dedicato alla famiglia, nato da un intenso confronto con lo psicanalista Massimo Recalcati. Uno spettacolo sul rapporto tra padri e figli che pone spietati e drammatici interrogativi sulla figura del padre nella nostra società
Latitano, si eclissano, sono compagni di giochi dei loro figli. Dove sono finiti i padri, quelli che anche con difficoltà sostenevano la propria funzione educativa? Che fine ha fatto l’imago paterna e cosa resta del padre, nel tempo della sua dissoluzione?
Mario Perrotta, regista, drammaturgo e attore porta in scena a Teatro Contatto 39x365, “In nome del padre”, (lungamente applaudito al Palamostre di Udine), primo spettacolo di una trilogia dedicata alla famiglia, nato da un intenso confronto con lo psicanalista Massimo Recalcati, consulente alla drammaturgia. Uno spettacolo sul rapporto tra padri e figli che pone spietati e drammatici interrogativi sulla figura del padre nella nostra società.
Messa in scena essenziale, tre manichini di filo di ferro e legno con appese giacche da indossare per dare vita ad altrettante figure di padre, un giornalista, un piccolo imprenditore - ex musicista, un uomo infantile e seduttore a cui Perrotta attribuisce altrettante caratterizzazioni, voci, manie, fallimenti. Al primo la drammaturgia abbina un figlio chiuso in un silenzio tombale nella sua camera, al secondo, un giovane con cui non c’è alcun dialogo, al terzo una figlia turbata dalle eccessive attenzioni paterne.
Diversissimi, per cultura, estrazione sociale, provenienza, i tre padri sono l’archetipo di fallimenti umani ed educativi nel tempo dell’evaporazione della figura del padre infallibile e dell’avanzare dell’era dei padri smarriti, quelli si confondono coi figli, giocano agli stessi giochi, parlano lo stesso linguaggio, si vestono allo stesso modo, con il risultato drammatico che la differenza simbolica tra le generazioni collassa.
Evocati sulla scena come maschere, da uno degli attori più apprezzati del teatro contemporaneo, svelano non solo l’attuale contesto di decadenza ma anche la forte, necessaria esigenza di nuove rappresentazioni del padre. Se è vero che siamo nell’epoca del tramonto irreversibile del padre è anche vero che siamo nell’epoca di Telemaco.
I tre figli, personaggi-paradigmi del teatro dell’inconscio, come il giovane erede di Ulisse, attendono pur in modi diversi che il loro padre ritorni. Non aspettano il padre eroe. Il padre che oggi viene invocato non è certamente il padre- padrone, colui che ha l’ultima parola sulla vita e la morte, sul senso del bene e del male ma chi, attraverso la sua testimonianza e l’esempio, trasmette l’eredità di una vita di senso, che vale la pena vivere. Padri che salvano, che rimettono al mondo, dopo che le madri li hanno dati alla luce e figli smarriti nella “scura notte dei Proci”. Padri che tornano dal mare per mettere ordine nella vita di figli che non solo cercano il Padre, ma ne hanno disperatamente bisogno.
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