Mittelfest, la storia di un’icona senza cliché: ecco Marlene, la star del cinema del Terzo Reich raccontata da Pašović

Il drammaturgo e regista tra i più autorevoli del sud est Europa torna a Cividale con uno spettacolo in coproduzione tra il National Theatre di Sarajevo e Mittelfest2023, per una prima assoluta

Fabiana Dallavalle
l’attrice Mirjana Karanović, protagonista dello spettacolo Marlene di Haris Pašović (Foto Luca d'Agostino)
l’attrice Mirjana Karanović, protagonista dello spettacolo Marlene di Haris Pašović (Foto Luca d'Agostino)

Raccontare la storia di un’icona senza lasciarsi lusingare da formule celebrative o inevitabili clichè, restituendo invece al pubblico, l’immagine di una donna brillante, forte, coraggiosa così centrata su sè stessa, da diventare un esempio non solo di stile ma di donna di potere, determinata e capace di forgiare il suo destino.

Succede a teatro con Marlene, regia di Haris Pašović, già direttore artistico di Mittelfest, drammaturgo e regista tra i più autorevoli del sud est Europa, che torna a Cividale con uno spettacolo in coproduzione tra il National Theatre di Sarajevo e Mittelfest2023, per una prima assoluta, molto applaudita dal pubblico del Teatro Ristori, giovedì sera. In scena, la storia della star del cinema del Terzo Reich che durante la Seconda Guerra mondiale scelse di combattere il Nazismo a fianco degli americani in uno spazio in cui, durante lo spettacolo, si intrecceranno più registri: quello asettico, trafitto dalle aste per i microfoni, applicato al tribunale della Storia, dove tre giudici con una recitazione volutamente priva di emozione, incalzante e stentorea affidata ai bravi Mona Muratović, Elmir Krivalić , Enes Salković amplificano la durezza dell’azione inquisitrice recitando all’unisono, quello emotivo e narrativo affidato a Mirjana Karanović, “imputata eccellente”, diva glamour degli anni del Nazismo e quello più immateriale, fascinoso, in cui una magnetica Karanović, è Lili Marlene, la cantante misteriosa ed erotica inventata da Hollywood.

Grazie a una drammaturgia ben scritta, l’attualità del personaggio e della persona appaiono con tutta la forza delle parole scelte per rappresentarla. Dietrich si muove sulla scena quasi senza muovere le braccia, con un controllo del corpo che amplifica la rara gestualità della Diva. La sua voce è quella di una donna consapevole sempre. Quando è accusata di aver tradito il suo Paese o di aver abbandonato la figlia, Marlene non indietreggia. E’ fiera e consapevole. Contemporanee le ragioni politiche che la portarono a lasciare la Germania per combattere contro Hitler: "quelli che indicate come nemici della Patria io li conosco. E non sono miei nemici". Marlene non si scusa, non cerca di spiegare. Comunica il suo valore di donna e madre fuori dal ruolo che la società cuciva e tutt’ora cuce addosso alle donne senza esitazioni. “Ho amato mia figlia. Era con me dove io lavoro. Si ho avuto molti amanti.

Alcuni non lo sono stati, altri non sono nell'elenco”. E il pubblico che la ascolta rimane affascinato dalla donna non solo per la sua bellezza ma per la sua intelligenza e consapevolezza del posto che occupa nella storia. Ad effetto straniante le immagini scelte per essere proiettate sullo sfondo durante gli interrogatori e a supporto dei racconti di Dietrich. La guerra, quella dei Nazisti appare come qualcosa in cui le devastazioni e le distruzioni sono “patinate”, o "pop", così come lo sono i volti degli uomini e delle donne che vi compaiono, soldati dagli occhi chiari e bellissimi, donne a lutto eppure eleganti, a suggerire, crediamo, che il Male non è rappresentabile né ieri né oggi. Che le immagini delle guerre che ci mostrano non sono mai quelle vere. Così come non ci è dato sapere davvero cosa sia passato dentro all’anima dell’Angelo Azzurro.

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