Dai medici in fuga al 118: le tante partite aperte nella Sanità Fvg
A pochi giorni dall’inizio della legislatura le polemiche sul Piano dell’emergenza urgenza hanno subito acceso i riflettori sulla sfida che attende il responsabile salute del Fedriga bis
TRIESTE Il Piano dell’emergenza urgenza irrompe sulla scena della sanità e della politica nel bel mezzo della costruzione della giunta. Non si sa ancora chi sarà il nuovo assessore alla Salute (anche se il bis di Riccardo Riccardi è l’ipotesi più quotata), ma il nuovo Peu porta alla luce il primo nodo concreto di una legislatura che sarà pesantemente assorbita dalla necessità di rivedere l’assetto di un sistema sanitario ancora sopra la media nazionale, ma zavorrato da mancanza di risorse (umane anzitutto), veti della politica, campanilismi tenaci e una pandemia che ne ha stravolto le priorità.
La riduzione delle Aziende sanitarie è cominciata con la giunta Serracchiani, che non l’ha conclusa davanti alle proteste locali. È andata avanti invece la transizione dalla sanità ospedaliera a quella territoriale, che il centrodestra aveva promesso di arrestare e che oggi invece porta avanti in linea alla riforma impostata centralmente con i fondi del Pnrr. La giunta Fedriga ha completato intanto il riassetto dei confini delle Aziende, ma poi il Covid ha gettato il sistema nel caos bloccando ogni ipotesi di riforma.
Le sfide più difficili
E allora quali saranno le sfide della partita più difficile della legislatura? Molti problemi dipendono da decisioni nazionali e servirà un lavoro di presenza alla Conferenza delle Regioni, da dove nei prossimi anni partiranno gli input al governo. L’allineamento politico c’è: Governo e Regione di destra, a sgomberare il campo dal primo alibi possibile e cioè l’incomunicabilità fra centro e periferia.
Il personale
Il primo punto all’ordine del giorno è quello delle risorse umane: il personale è poco e servono forze fresche tanto a livello di medici che di infermieri. Il problema è nazionale. Servirà convincere l’esecutivo a riformare l’accesso alle professioni, ampliare i numeri chiusi dei corsi universitari, permettere agli specializzandi di entrare più rapidamente in corsia e assegnare agli infermieri facoltà di base che oggi stanno in capo solo ai medici. I territori hanno inoltre bisogno di una gestione più elastica di stipendi e premialità, che scoraggi la fuga verso la sanità privata. Da rivedere ci sono pure i meccanismi concorsuali, che sfociano nell’assurdo delle bocciature a tappeto di infermieri che da anni prestano servizio come precari. Senza tralasciare i medici di base: che sono sempre meno, con vocazioni in calo e necessità di ripensare un rapporto che – autonomo o subordinato che sia – non può più basarsi su estenuanti accordi economici per ogni sorta di prestazione aggiuntiva.
I fondi
Poi ci sono le altre risorse: i danari. In un sistema sanitario e socio-sanitario regionale che ha cominciato la legislatura con un costo annuo di 2 miliardi e l’ha conclusa a 2,5 miliardi. Non è questione di spendere meglio perché, a parità di servizi, il trend è identico dappertutto. E allora servono più soldi. La Regione nel 1997 è uscita dal Fondo sanitario nazionale e ha contrattato compartecipazioni sul gettito corrispondenti ai versamenti persi. Quel negoziato non comprendeva però un’indicizzazione rispetto alla crescita delle uscite: 25 anni dopo servono forme di compensazione che la nuova giunta Fedriga dovrà ottenere per evitare che la gestione diventi non sostenibile.
le liste di attesa
Non più sostenibili sono invece già ora le liste d’attesa di molte prestazioni, mandate in tilt dalla pandemia. Servono più visite, più esami, più operazioni. La ricetta del centrodestra è l’incremento del ricorso alle strutture private che operano in convenzione. La considerazione della giunta è che in regione il coinvolgimento del privato accreditato vale l’8,9% sul totale delle prestazioni, mentre in Emilia Romagna l’11 e in Veneto il 15%. La volontà annunciata è di crescere, in quei settori (protesica, diagnostica, oculistica) che registrano un alto tasso di fuga verso strutture fuori regione, che il sistema sanitario regionale deve comunque remunerare quando assistono residenti in Fvg.
Il Pnrr
Un’altra delle prove si chiama Pnrr. Ovvero la riforma che il Piano finanzia per creare case e ospedali di comunità. È una svolta forte verso la sanità territoriale, ma serve personale e serve pure una miglior attuazione delle reti per le patologie croniche e degli screening oncologici, che in regione hanno subito un importante arretramento in questi anni. Qui si gioca anche la partita della residenzialità, ovvero la capacità di ridurre la durata dei ricoveri ospedalieri e dare assistenza post acuta attraverso il ricorso a Rsa e domiciliarità. Lo richiede una società che diventa sempre più anziana e in cui anche la telemedicina avrà un ruolo importante. Ma per questo servono tecnologie digitali all’avanguardia. Saprà fornirle Insiel, sempre nel mirino per i ritardi sul fascicolo sanitario elettronico, i problemi informatici e di geolocalizzazione del 112-118 e le carenze nell’architettura gestionale della sanità Fvg?
Gli ospedali hub
Se l’informatica è da ristrutturare, lo sono anche i grandi ospedali hub. Le risorse sono arrivate a fine legislatura, dopo un aumento vertiginoso dei costi fra caro materie prime e appalti incastrati da problemi progettuali, come nel caso del nosocomio triestino di Cattinara. Ora serve che i lavori procedano spediti e che la politica trovi nel mentre il coraggio di razionalizzare (che a volte significa anche chiudere) alcuni dei piccoli ospedali e dei punti nascita con sempre meno parti.
Le sfide sono molte. Le affronterà Riccardi? E lo farà con la squadra di direttori generali e funzionari che ha chiuso questa legislatura? Mai come nell’ultimo quinquennio si sono registrati tanti avvicendamenti, nomine e trasferimenti, ma il sistema ha bisogno di tregua anche su questo fronte.
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