Hindley trionfa al Giro d’Italia e le lacrime del ds Gasparotto in ammiraglia sono uno spot per il ciclismo

Antonio Simeoli

Le lacrime di Enrico Gasparotto valgono più di tutto. Sono le lacrime di un innamorato del ciclismo che vive la sua professione da vent’anni come una passione. E che, grazie a quella passione, unita all’amore per il suo Friuli, anche se da anni risiede a Lugano e ora è anche svizzero di passaporto, è riuscito ad ottenere risultati lusinghieri su una bicicletta. E ora anche in ammiraglia.

Trovare simboli di questo Giro d’Italia, che per molti è stato noioso e per noi un poco meno, non è poi troppo complicato. La volata di Van der Poel a Visegrad, l’addio di Nibali, lo sprint ad alta quota sul Blockhaus proprio di Hindley che annunciava il grande equilibrio.

La vittoria di Girmay col caso del tappo di Prosecco che lo ferisce, ancora la Squalo che resiste e pure attacca a Torino, poi la Marmolada.

«Dai sei una fo... leggenda. Te lo meriti. Stai facendo la storia. Siamo fieri di te e lo è tutto il tuo Paese, l’Australia». Una frase, detta con le lacrime agli occhi, sull’ammiraglia della Bora Hansgrohe da un direttore sportivo friulano all’esordio in una squadra Pro Tour, 40 anni di Casarsa della Delizia e fino a due anni fa a battagliare in gruppo, rischia di diventare uno dei simboli di questo Giro.

È accaduto tutto nei 5 chilometri finali del tappone di sabato 28 maggio. Gasparotto e i suoi colleghi in ammiraglia avevano orchestrato alla grande il team sin dalla riunione pre gara a Belluno sul bus. Avanti subito Lennard Kamna in fuga pronto a fare da riferimento e aiuto a Hindley sull’ultima salita.

Come una partita a scacchi. “Gaspa” sente aria di impresa, come quando nel 2012 e nel 2016 iniziava a scalare l’amato Cauberg all’Amstel Gold Race.

La Ineos accelera nel tratto più duro prima di Capanna Bill. Gasparotto sta accanto al guidatore, accucciato sul sedile verso la portiera, tiene la radio stretta, dà un occhio al televisorino con le immagini della corsa. Si confronta col meccanico. Ascolta radiocorsa. E soprattutto incita, incita Jai, lo telecomanda.

«Forza Jai, full gas”. Ecco Kamna sulla strada, via ad incitare entrambi. La radiolina gracchia gli incitamenti ai corridori. Sempre più. E quando Carapaz comincia a cedere, Gasparotto stringe ancor più forte la radio e comincia a toccarsi la fronte con l’altra mano.

Capisce che sta assistendo a qualcosa di unico, per la carriera di Jai, per la sua Bora Hansgrohe che, al netto dei successi di Peter Sagan, mai era riuscita davvero a giocarsi una grande corsa a tappe nella sua storia e, perché no, anche per lui che un anno fa era sì sulle strade del Giro, ma non come “regista” di un corridore in lotta per la maglia rosa, ma come (apprezzato) regolatore di corsa in moto per Rcs.

Il vantaggio sale, sale, sale. Gasparotto capisce che la maglia rosa di Verona ormai è alla portata. Scende dall’ammiraglia, ci dice subito che il Giro finisce a Verona. Sono le corse, chiaro. Ma appena domenica Jai da Perth, che stravede per lui e l’ha ripetuto più volte in questi giorni, piomba con la sua maglia rosa nell’Arena, lui è lì vestito di rosa, come tutti i componenti del team.

«Mi ha regalato emozioni uniche quel ragazzo, questa avventura per la Bora è stata unica», dice ebbro di gioia tra un brindisi e l’altro. A Casarsa mamma Luigina e papà Toni, che l’avevano coccolato negli ultimi due giorni quando la Bora aveva pernottato in paese, sono emozionati: «Orgogliosi di lui».

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