L’ultimo schiaffo dell’Egitto su Regeni: «Non c’è motivo per fare il processo»
ROMA. Un processo per l’uccisione di Giulio Regeni? Ma no, non si sa ancora chi è stato a torturarlo e ad assassinarlo e dunque «non c’è alcuna ragione» per tirare in ballo un giudice, allo stato. È questo, in sintesi, ciò che c’è scritto nelle comunicazioni consegnate ieri dalla procura generale egiziana all’ambasciatore italiano al Cairo Giampaolo Cantini.
Da tempo si è capito che l’Egitto non intende collaborare per fare luce sull’omicidio del ricercatore italiano e quella di ieri è stata solo l’ennesima conferma della scarsa volontà di Al Sisi di dare una mano in questa vicenda.
Una mossa che la Procura egiziana ha voluto rendere pubblica anche sul proprio profilo Facebook, spiegando che il procuratore generale Hamada Al-Sawi ha consegnato all’ambasciatore italiano «due copie ufficiali - in lingua araba e italiana - delle inchieste circa l’omicidio dell’accademico italiano Giulio Regeni». Pagine e pagine appunto «concluse da un rapporto provvisorio secondo il quale non c’è ragione di intentare un processo penale per mancanza di conoscenza dell’autore». Semmai, è la raccomandazione che suona provocatoria, «bisogna incaricare le parti coinvolte di intensificare le indagini».
Non solo, ma il procuratore egiziano Al-Sawi ha raccomandato anche di far acquisire gli atti consegnati al processo in corso a Roma «perché tali documenti comprendono una confutazione e una smentita di tutto quanto si è detto sugli ufficiali egiziani sospettati in questo caso». Non ci sarebbero dunque prove sui quattro sospettati, secondo la procura egiziana.
A sostegno delle proprie conclusioni, il Cairo porta anche la risposta del Kenya alla rogatoria egiziana sulla presunta testimonianza di un poliziotto di Nairobi: l’uomo, durante una riunione sulla sicurezza, avrebbe ascoltato il maggiore egiziano Magdi Sharif - il principale dei quattro imputati e presunto torturatore - raccontare del sequestro del giovane ricercatore friulano. Nelle carte della rogatoria, sostiene la procura egiziana, ci sarebbe «la smentita di ciò che era stato evocato circa un poliziotto kenyano che aveva ascoltato un racconto di un ufficiale di polizia egiziano nel corso di una riunione della sicurezza nella capitale kenyana». Il racconto «includeva l’affermazione secondo la quale quest’ultimo aveva giocato un ruolo nel rapimento di Regeni in Egitto».
Solo pochi giorni fa, il presidente della Camera Roberto Fico aveva ribadito la convinzione secondo cui la cortina fumogena che continua ad avvolgere la vicenda sia creata ad arte da qualcuno che ha un ruolo negli apparati ufficiali egiziani. «Lo Stato deve essere forte, dobbiamo andare avanti verso chi ha nascosto e continua a nascondere la verità. E chi nasconde è nello Stato egiziano». Il presidente della Camera, peraltro, si era detto «molto soddisfatto per il rinvio a giudizio dei quattro della National security egiziana: è stato un lavoro straordinario della magistratura, encomiabile». Proprio i quattro uomini che la procura egiziana chiede di scagionare sulla base della rogatoria arrivata dal Kenya.
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