Da Tolmezzo a Venzone tra le acque della Carnia. E poi la Pieve di Santo Stefano in cima a una ripida salita
La Carnia è la sua acqua. Il cammino dipende da lei. Si seguono i letti dei fiumi. Si guadano molti rii. Oggi incontriamo il Tagliamento. Scende da ovest, nasce al passo della Mauria. Qui muore la Bût, che si getta nel grande fiume della pianura friulana. Un torrente femminile, come lo canta Carducci nell’ode “In Carnia” ispirata dalla leggenda delle “aganis” del Pian delle Streghe. E Caterina Percoto, in una delle sue novelle, “Lis cidulis”: “I suoi pensieri” scrive a proposito di Massimina, la protagonista, “erano lieti come la carezza leggera che vien giù colle acque della But”.
Più che una carezza, è un abbraccio quello dei due fiumi al capoluogo della Carnia: un abbraccio di acque, di ghiaie e di sassi, da nord a ovest, fino a sud. Una grande riviera, con dietro i monti. Lo si vede bene da Pra Castello, il balcone della città, mentre nel centro storico la presenza dei fiumi non si percepisce. Diventa invece imprescindibile quando ci si allontana a piedi. Ci vuole un ponte per uscire da Tolmezzo. Ed è fra molte acque che cammineremo io e Ulderica Da Pozzo in questa quarta giornata della Via degli angeli, dove lasceremo la Carnia ma solo alla fine, per entrare, sempre seguendo il corso del Tagliamento, nella porta delle Prealpi Giulie, Venzone.
Piazza XX Settembre, il Duomo di San Martino, piazza Centa. Usciamo dalla città da via Val di Gorto e prendiamo la strada per Cavazzo. Sì, quella d’asfalto, non c’è alternativa. C’è una ciclopedonale sulla sinistra ma poi bisogna camminare per un tratto a lato della carreggiata e del guard-rail. Le auto passano veloci sul ponte. Riprendiamo la ciclopedonale oltre il fiume. Fra poco ci addentreremo nel bosco. Ci accompagna anche oggi il segnavia del Cammino delle Pievi: giù da una scarpata e poi su per un ripido sentiero. Siamo nella forra di un torrente, in un attimo siamo ripiombati in un mondo selvaggio, solo i segnavia del sentiero ci rivelano tracce di umanità. La faggeta si apre e incrociamo una bellissima strada forestale. All’insegna della trattoria Al Pescatore si risvegliano i ricordi: anni fa passai di qui a piedi, scendendo da Verzegnis, con un amico, Nicolò Giraldi, che stava seguendo le tracce delle migrazioni dalla Val di Gorto all’Istria. Pioveva a dirotto e ci rifugiammo proprio in trattoria. Oggi non piove e proseguiamo, oltre il ponte di un altro rio, il Faeit. Poi si apre un vasto prato con una chiesetta votiva calata nel verde come un’astronave. Chissa cosa c’era qui prima: oggi attorno è solo foresta. Arriviamo a Cesclans e benché sia chiusa, l’Osteria Angeli Neri non può che essere arruolata fra le future soste, visto il nome. Ci aspetta un altro spettacolo della Carnia devota: la Pieve di Santo Stefano. Luoghi che ti devi conquistare, le pievi, perché sono tutti in cima a erte salite. La fede è fatica e luce, quella che troviamo lassù in questo nido d’aquila che tutto vede: Amariana, San Simeone, Brancot, il lago, dove arriveremo. Fino all’Alto Medioevo c’era un’antica fortezza di vedetta sulla strada romana che proveniva da Concordia.
Il sentiero di Sot Sebide scende fra impressionanti massi. Scopro il borgo di Mena, che dà il nome a una galleria dell’autostrada. I piloni sono poco distanti, ci passeremo sotto per imboccare il sentiero per il lago, dopo Somplago.
Acqua placida, che rinfresca: dopo tre ore di cammino ci sta un tuffo. Il lungolago offre piccole spiagge, un pontile, le aree attrezzate sono più avanti. È un paesaggio che rasserena: arrivarci a piedi ancora di più. Salici, canneti sulle sponde. Il più grande lago naturale del Friuli Venezia Giulia è un’oasi per gli uccelli, alberga specie rare e una magnifica biodiversità botanica. Contribuisce a fare del monte San Simeone il paradiso degli entomologi, con le sue 900 specie di farfalle, e di Bordano il Paese delle “pavees”. San Simeone ingiustamente incolpato di albergare nelle sue viscere l’Orcolàt, che scatenò il sisma del 6 maggio 1976. Calcoli successivi stabilirono l’epicentro altrove, verso Lusevera. Ma la cattiva fama è rimasta. Ci arriviamo, a Bordano, passando dal Centro visite dell’Orto botanico e dalla meridiana di Interneppo. Mi accompagna idealmente sul Sentiero delle farfalle Giuliano Mainardis, che a metà degli anni Novanta scrisse il primo trattato sulle “pavees" che hanno fatto la fortuna del paese. Mi segue fino a Venzone, dove arriviamo da Pioverno, per condurmi al Bosc, piccolo museo delle meraviglie naturalistiche dell’ultima propaggine delle Prealpi Carniche che guarda le Prealpi Giulie (monte Plauris). Passiamo sul ponte del Tagliamento ed entriamo nelle mura da Porta San Giovanni. Venzone la risorta ci accoglie. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto