Sulle trincee del Carso e poi lungo il sentiero Rilke: belvedere mozzafiato in ricordo del poeta praghese
Le luci dell’enorme nave in costruzione nei cantieri navali assomigliano a quelle di un luna park. Monfalcone è silenziosa mentre all’alba prendiamo la via per Sistiana. I sentieri sono trincee, qui tutto è disseminato di opere belliche.
Migliaia di angeli ci spingono sulla penultima tappa del cammino. Angeli di entrambi i fronti. A quota 121 si vedono da una parte il Carso sloveno e dall’altra l’Adriatico. Fino all’agosto 1916 austro-ungarica, poi viene conquistata dalla Terza Armata e diventa prima linea italiana.
I nemici si ritirano a Quota 77, lago di Pietrarossa, oggi riserva naturale che alberga rare specie di uccelli. Si mescolano salice bianco e pioppo nero. Farnie. Olmi. Restiamo in quota. Il sentiero dell’Alpe Adria Trail scende a San Giovanni, verso le foci del Timavo, che riemerge dopo essersi inabbissato nelle stupefacenti grotte di San Canziano, in Slovenia.
Quaranta chilometri di misteri, in parte svelati con l’esplorazione austriaca: l’Impero aveva bisogno di acqua per la città. Ancora oggi la presa di San Giovanni di Duino abbevera Trieste. Doveva essere un incanto, il posto, ai tempi dei Romani.
La grotta del Mitreo, alle pendici del monte Ermada, era dedicata al culto di un dio pagano. L’antica chiesa di San Giovanni in Tuba ispira raccoglimento. Difficile ora scorgere tutto questo fra autostrada, strada statale e ferrovia.
Noi però rimaniamo alti. «In questa tappa ci siamo mantenuti in quota, salendo sul monte Ermada lungo una strada forestale nella tipica vegetazione del Carso: rado bosco e arbusti, macchia mediterranea» spiega Attilio De Rovere, che ha tracciato il percorso della Via degli Angeli. Si passa per gli abitati di Jamiano e Medeazza, poi è il bosco.
Dopo undici giorni e alla vigilia della conclusione del cammino, mentre la lunga pista forestale scorre sotto i miei piedi e in lontananza vedo il mare, è tempo di fare un piccolo bilancio. Buone notizie: non abbiamo fatto passi in fallo, nessuna vescica (calziamo buoni scarponi e calzettoni). Le ginocchia sono un po’ peste: le ultime, ripide discese del Carso ci hanno provato.
Ma niente di grave. Capitolo abbagli: può capitare di prenderne in cammino. Il primo giorno ho attribuito un figlio non suo alla pittrice di Sappada Olga Riva Piller (la mamma dell’olimpionico Pietro Piller Cottrer è Emma Benedetti). I ruderi del castello di Soffumbergo hanno un proprietario, Claudio Floran, e dunque non sono abbandonati.
Gli ulivi di Faedis non sono pugliesi, come poteva sembrare dal titolo (è l’antico frantoio dell’azienda agricola San Rocco a venire dal sud), ma sono innesti da antiche piante coltivate un tempo in Friuli e riscoperte (la Scuola agraria di Cividale ha campionato queste varietà e le ha inserite nel proprio campo pratica). Imperdonabile, poi, è stato non citare il monte Coglians quando sono passata da Forni Avoltri.
Da Adriana Gortan ed Elena Agostinis di Collina, che me l’hanno fatto notare chiamando entrambe la redazione, è arrivato l’invito “a passare anche dal nostro paese, che non vanta solo il primato della cima più alta ma anche della latteria sociale più antica (1880) e dell’unico, inimitabile “cjaput da Culino”, il nostro squisito cavolo cappuccio”. E gli angeli? «La chiesa è intitolata a San Michele Arcangelo». Bene, penseremo a una variante.
Con Attilio De Rovere e Ulderica Da Pozzo sto raccontando la Via degli Angeli nel mentre sta nascendo. Gli incontri sono avvenuti sulla via, o poco prima, o poco dopo. Dal primo agosto siamo tutti e tre in viaggio e ciascuno di noi collabora alla narrazione.
A volte ci siamo divisi: io per scrivere, Ulderica per fotografare, Attilio per rilevare al meglio la traccia con il Gps. Questo cammino è nato mentre lo camminavamo, giorno dopo giorno. L’arrivo di oggi è un premio. Il Sentiero Rilke si snoda sulla Riserva naturale delle falesie di Duino fino a Sistiana, fra belvedere mozzafiato.
«Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere degli angeli?» esordisce la prima delle Elegie Duinesi del poeta praghese che amava i viandanti. E poi: «Ci resta, forse, un albero, là sul pendio, da rivedere ogni giorno; ci resta la strada di ieri, e la fedeltà viziata d’un’abitudine che si trovò bene con noi e rimase, non se ne andò». —
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