Tra filari di vitigni pregiati nella terra della buona tavola. E c’è pure chi coltiva gli ulivi importati dalla Puglia
Di vigne si vive in queste valli. La vocazione del territorio è chiara e al viandante piace assecondarla. I nostri angeli hanno terrene passioni e pulsioni, amano la buona tavola e il buon bere. Il nostro cammino si svolge fra i filari di uve celebri.
Abbiamo cominciato con il Ramandolo, oggi siamo nella terra del Refosco. Su queste strade si viene più per degustare nelle tante cantine e trattorie che per visitare i castelli. Camminando si può fare l’uno e l’altro. Prendendosi del tempo. Chi va a piedi non ha fretta. L’ospitalità non manca. Ci sono bed&breakfast e agriturismi disseminati fra i paesi.
È una tappa di donne, questa ottava. Signore del vino, dell’olio, delle tecnologie. Già nel ristorante in piazza dove abbiamo cenato a Racchiuso, in faccia al bel campanile medievale, c’era una gentile pattuglia di sole ragazze a suddividersi mpegno di rifocillare in terrazza turisti e friulani di pianura, saluti quassù per sfuggire al caldo torrido.
Rumore di zoccoli al trotto. Una carrozzella trainata da un cavallo ci passa accanto. L’uomo in camicia bianca e cappello di paglia a bordo ci saluta. Un’apparizione dovuta alla canicola che già picchia? Non voglio approfondire e parto, con gli amici Ulderica e Attilio.
Direzione il monte Poiana e suo borgo. Belle case lassù. Lassù si fa per dire: viaggiamo fra i 150 e i 300 metri di altitudine. Ma le Valli del Torre sono un bel saliscendi. Perfette per fare esercizio. Lo sanno bene i ciclisti che incrociamo fin da Tarcento.
Oggi è impossibile smarrire il sentiero: con noi ci sono Lucia Zadro e Alessandro Specogna della Tabacco, l’editrice di carte topografiche più utilizzate in montagna (al punto che il nome è diventato un sinonimo: “Hai portato la Tabacco?” si usa dire).
Hanno scelto la Via degli angeli per testare la nuova app, studiata in collaborazione con le aziende InfoFactory e Data-Mind, spin-off della Università di Udine. Lucia è una cartografa specializzata in nuove tecnologie, lo zaino non le pesa: «Sono abituata a portare in spalla mio figlio di due anni».
Passiamo dai castelli di Zucco e Cucagna, quest’ultimo con la chiesetta di San Giorgio, meta di un pellegrinaggio collegato a Compostela. Scendendo dal bosco, ritroviamo i vigneti. Conoscete la storia del Refosco di Faedis? Me la racconta Flavia Gaspero, tre generazioni di vignaioli. Ha fatto la bancaria e poi l’insegnante di educazione fisica.
Il richiamo della terra è stato più forte. «In passato tutti piantavano il nostro refosco perché produceva più vino. Poi si è diffuso quello dal peduncolo rosso. Però noi abbiamo continuato a difendere il nostro vitigno». Realtà piccola, e preziosa, molto unita.
«Siamo una dozzina: prima di imbottigliare ci troviamo per fare assaggi alla cieca e valutare la qualità della produzione di ciascuno». I tannini, l’invecchiamento in botte, la mineralità. Tutto entra nel buon bicchiere che ci offre: la sua azienda è sul nostro cammino. Alessandro già la registra sulla app come punto di interesse.
Raschiacco, verso Campeglio. Le prime coltivazioni di ulivi. Li avevamo visti, ma in piccoli numeri. All’azienda agricola San Rocco ci sono tremila piante e un frantoio. «Mio padre lo portò qui dalla Puglia» dice Sandra Zamarian. «Alla fine degli anni Sessanta gli diedero del matto. Nella proprietà trovò ulivi secolari, i più vecchi hanno 300 anni, e decise di avviare la produzione di olio».
Sandra, che gestisce l’azienda con la sorella Cristina e la madre Ida, è felice che qualcuno arrivi a piedi. «Dobbiamo mantenere i vecchi sentieri, ciascuno dei residenti pulisce il suo pezzetto. Da chi cammina possono arrivare solo cose buone».
Si sale a piedi alla chiesetta di San Rocco, che dà il nome all’azienda agricola. Il vicino castello di Soffumbergo appare abbandonato. In novembre arriverà il nuovo olio. «La scorsa annata è stata pessima per tutte le coltivazioni sull’Adriatico. Speriamo in questa».
L’olio nascerà dalla raccolta fatta a mano e poi dalla spremitura a freddo con due macine, poi il torchio, un sofisticato sistema di 120 dischi «per equilibrare le forze di pressione».
Con questo profumo di buone cose nella testa scendiamo in città. Prestento, Torreano,. Entriamo a Cividale. Il Ponte del Diavolo è arruolato nella nostra collezione. Lucifero era un angelo caduto. Noi ci lasciamo cadere sui gradini che portano al Natisone.
Giunge un modesto refrigerio dall’acqua del fiume, e la vista sulle arcate e sul diabolico sasso che le sorregge è magnifica. —
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