A Lillo il premio Unicef Link 2024: «Far ridere gli altri è condivisione, dona grande forza»

La consegna il 7 settembre in piazza Unità, a Trieste. Sul palco del Festival via all’avventura come testimonial dell’agenzia Onu

Valeria Pace
Lillo ospite a Link nel 2019 (Foto Lasorte)
Lillo ospite a Link nel 2019 (Foto Lasorte)

«So’ Lillo». La sua comicità è talmente irresistibile che basta il suo nome per farci sorridere. È sufficiente per evocare una delle sue gag ricorrenti nella prima stagione di “Lol, chi ride è fuori” diventato un tormentone, in cui svela la sua identità, togliendo un travestimento che non la nascondeva realmente.

Spesso è quello di Posaman, un paradossale supereroe, capace di posare straordinariamente davanti a un obiettivo. Spiegare le battute ne uccide la comicità, quindi il suggerimento è di andare a rispolverare le clip per una risata. Si tratta di una parodia di un genere amato soprattutto dai giovani e dai giovanissimi e che l’ha reso popolarissimo tra loro. Ma è una presa in giro che parte da un affetto sincero: «Amo la fantasia, la mitologia e i supereroi. Ho un animo infantile nonostante la veneranda età», racconta.

Tant’è che fa collezione di miniature di eroi del fantasy dipinte da lui stesso, che sono state esposte in mostra al Lucca Comics nel 2023. Ed è proprio per questa facilità a generare ilarità, e per l’amore che il pubblico più giovane ha per lui che Unicef Italia, in occasione dei 50 anni dalla fondazione, ha scelto di insignirlo con il premio “Unicef Link 2024” e nominarlo testimonial.

Perché in un periodo storico segnato da conflitti c’è bisogno del sorriso. Il premio gli sarà consegnato da Paolo Rozera, direttore generale di Unicef Italia, al Link Media Festival di Trieste – promosso dal gruppo Nem – sabato 7 settembre alle 19.30 in piazza Unità.

A renderlo un’icona tra i giovani, oltre a Lol, libri a fumetti dedicati ai suoi personaggi, come “Posaman and Friends” (Rizzoli 2022) e romanzi per ragazzi. Poi c’è l’attività di doppiaggio di vari film di animazione. Senza dimenticare il suo ruolo da protagonista nel Musical di Andrew Lloyd Webber “School of Rock”, che l’ha reso il Jack Black italiano.

Questo elenco non è che un assaggio della sua duttilità. Si muove con facilità tra teatro, musica, cinema e arte figurativa.

Lillo, felice per questo riconoscimento?

«Sono felice e imbarazzato, come ogni volta che ricevo un premio. Oltre al fatto di collaborare con un’organizzazione importante, mi riempie di gioia perché conferma l’importanza del mio lavoro sui giovani e i giovanissimi. Qualcosa che fa piacere perché il pubblico giovanissimo è autentico, senza sovrastrutture, è qualcosa di puro».

Qual è il trucco per farli ridere?
«Ho un animo infantile e secondo me mi riconoscono. Ho sempre avuto un pubblico di giovani. Quello di giovanissimi però è arrivato con Lol, con i personaggi che ho portato. Non è stato un calcolo mirato per piacere a loro, ho sempre fatto cose che divertono me per primo. Poi cerco la condivisione con il pubblico. Della serie: questo mi fa ridere, spero faccia ridere anche voi. Con Posaman è riuscito, ha fatto divertire tanto il pubblico e pure i bambini. Non c’è una struttura particolare al di là di questo, divertendomi io faccio divertire gli altri».

È questo aspetto di condivisione, la capacità di avvicinare con una risata che dà una dimensione seria alla comicità, tanto più importante in un mondo attraversato dai conflitti?
«Sì, esatto. Da quando sono nato non mi ricordo di un anno senza guerre, l’essere umano è così. Il divertimento però libera energie positive che ti portano ad affrontare meglio le cose serie e negative. È terapeutico, ti porta ad avere più forza».

L’infanzia è un periodo di fantasia e sogni. Un testimonial dell’Unicef lavora anche per tenerli vivi. Che cosa direbbe a un bambino che ha il sogno di diventare come lei?
«Non esistono regole o leggi da trasferire, ogni vita è diversa dall’altra. Io sono arrivato dove sono arrivato perché ci sono stati accadimenti particolari. La cosa importante è capire qual è la cosa che vuoi fare e concentrarsi all’età giusta, quella adolescenziale e preadolescenziale. Il sogno nel lavoro è fattibilissimo, poi uno molla perché ha delle delusioni. Ma se hai veramente voglia e passione devi andare avanti. Anche io ne ho avute tante all’inizio, ho semplicemente insistito. È un consiglio che si applica a tutti i lavori, non solo al mio: una volta che si è individuato quello che ti rende felice e una persona utile e inserita nella società, bisogna inseguirlo con grande tenacia».

Qual è la cosa più difficile nel suo lavoro?
«Capire che cos’è condivisibile dal pubblico. Ci sono delle cose che vorrei fare artisticamente ma che poi capisco che non sarebbero fruibili dal pubblico. È più facile capirlo a teatro che in altre forme espressive, vedi che il pubblico si diverte meno e aggiusti il tiro».

L’improvvisazione che ruolo ha nella sua esperienza?
«L’improvvisazione è capire i contesti. L’ho usata tantissimo in Lol, dove non ho fatto nulla di repertorio, ho detto le battute che dicevo con gli amici. Ho avuto l’istinto di capire che serviva quel mood lì, farlo sembrare una riunione tra dieci amici più che uno spettacolo. Ed è stata proprio quella la forza del programma, la prima stagione è uscita durante il Covid, quando la gente viveva isolata... Anche con Posaman non sapevo esattamente che cosa volevo fare. Ho fatto fare un costume di un eroe che fa le pose, sono entrato nel teatro di Lol e ho reagito a quello che facevano gli altri».

A breve Posaman vivrà nuove avventure...
«Sì con la serie “Io sono Lillo 2”. La prima stagione è stata la scusa per raccontare in chiave comica la vita di un attore comico, ho impersonato me stesso. Posaman era un personaggio con cui combattevo nella serie, perché interpretavo un attore non fortunato come sono stato io, ma un comico il cui unico personaggio di successo è Posaman e che cerca di liberarsi di lui fino a scoprire che in realtà Posaman è importante perché è parte di sé. Nella seconda stagione si va avanti, raccontando sempre la vita di un comico, ma è molto corale, nonostante il titolo. Ci sono Corrado Guzzanti, Paolo Calabresi, Katia Follesa e tanti altri comici che stimo e che mi hanno aiutato a creare un gruppo di personaggi, la base di una storia che possa intrattenere».

Lei è un artista poliedrico, come si tiene tutto?
«Io dico sempre che in realtà faccio una cosa sola: l’intrattenitore e l’umorista. Tutto ciò che faccio ha uno sfondo divertente. I mezzi con cui lo realizzo sono tanti perché sono una persona curiosa. Ho iniziato con la musica comica, poi il teatro, da lì sono passato alla radio, poi il cinema e tutto il resto. Cambio perché ho sempre tanta curiosità di capire come funzionano un mezzo e le sue regole. Impararle è vitale per chi fa il mio lavoro, uno cerca sempre di crescere, se ami il lavoro che fai impari con tutta l’umiltà del mondo. La mia massima, d’altronde è “meglio fare tante cose male che una bene”». 

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