Alla bambina sfuggì il palloncino. E Dio creò il mondo

Il racconto di Alberto Garlini. Una famiglia chiassosa, una madre arrogante, una compagna curiosa. Se mescoli gli ingredienti, l’imbarco in aeroporto può riservare sorprese

Alberto Garlini

In un agosto insolitamente piovoso, io e Laura siamo all’aeroporto di Venezia, di notte, ad aspettare il volo per Rodi. Porto con me poche cose, tra le quali il tesoro più prezioso è un saggio su San Paolo da leggere in spiaggia. In questo periodo mi appassiona la Qabbalah e il cristianesimo delle origini. Al gate di partenza, alienante per le luci chiassose dei neon, siamo circondati dai turisti.

Esiste un rapporto tra l’intensità della luce e il volume delle voci. Basta poi che qualcuno parli più forte e viene subito imitato. In pochi minuti, il gate è una piccionaia.

«Chiedi alla madonna!» sentiamo urlare e scopriamo l’origine contagiosa degli schiamazzi: una famiglia composta da padre e madre (è il padre che chiama la madre, sua moglie: la madonna) e tre figli, due maschi e una femmina.

Non lasciano in pace nessuno: gridano, occupano i posti migliori, puntano su altri che sembrano migliori, chiedono a un inglese di spostarsi, poi a una studentessa italiana che legge e sonnecchia. I figli, rumorosi e maleducati, tengono tra le dita i fili di tre palloncini colorati che segnano la loro posizione in costante movimento. Volano scomposti e senza pace come le anime dei lussuriosi spinte dal vento nell’inferno di Dante.

I tre figli si somigliano, sembrano gemelli, ma non lo sono: la madonna si affretta a spiegarlo a Laura senza che nessuno glielo abbia chiesto. «Lo so che sembrano gemelli, ma sono nati a un anno esatto di distanza l’uno dall’altro. Li vesto allo stesso modo perché lo trovo elegante. Non pensa che sia elegante?» Laura sorride e accenna col capo, non riesce però a risponderle di sì. Allora la madonna si rivolge alla ragazza di fianco, la studentessa che ha costretto a spostarsi.

«Non sono eleganti?» «Certo signora, i suoi figli sono molto eleganti» risponde la studentessa che ha, adesso me ne accorgo, gli occhi arrossati.

Finalmente ci chiamano per salire

Finalmente ci chiamano per salire. Prima nella fila, la famiglia rumorosa litiga perché gli assistenti di volo proibiscono il passaggio ai palloncini.

«Come sarebbe a dire? Dovrei sgonfiarli sotto gli occhi dei miei figli? Dovrei procurargli questo dolore?». I figli intanto minacciano di non imbarcarsi. Piangono con tale strepito che alla fine, estenuate, le due donne in divisa danno il via libera. È un’infrazione veniale, ma pur sempre un’infrazione. Un’infrazione famigliare. In Italia, e forse ovunque, cosa non si fa per la famiglia? E cosa è una famiglia senza figli? Sugli schermi scorrono le immagini dell’attacco israeliano a Gaza: case fatiscenti o distrutte, sangue, donne che piangono.

La solita barbarie, la solita miseria, la solita assurdità. L’attualità storica mondialmente riconosciuta ci perseguita fin dentro le vacanze. Laura mi stringe la mano. Penso alla spiaggia di Lindos, la Saint Paul’s bay, e mi rassereno.

Ma il miracolo avviene pochi minuti dopo, mentre camminiamo sulla pista verso la scaletta. Dalla massa indistinta del gruppo famigliare, dalla stupefacente somiglianza dei bambini vestiti uguali, riesco a individuare i tratti della figlia. Staccata dall’insieme famigliare noto che è molto bella, e si atteggia a donna adulta. Perché la noto? Perché il palloncino le è scappato di mano e sta volando nel cielo nero, e lei ha il mento sollevato e lo guarda ascendere con gli occhi trasognati (si chiama Ariella, penso).

Dopo gli strepiti al gate, adesso che ha davvero perduto il palloncino non mostra segni di dolore. Anzi, si gode lo spettacolo, applaude, cerca il consenso di chi è in fila con lei, che puntualmente arriva. Non reagisce altrettanto bene la studentessa con gli occhi arrossati. Il trolley le è caduto per terra, ha il volto pallido e piange, mentre guarda in alto.

Il pianto è silenzioso, ma le lacrime sgorgano abbondati e la bocca è contorta. In effetti, quel palloncino risucchiato nel nero, che vola verso il freddo della stratosfera, verso i venti minacciosi, è un seme di tristezza piantato nel cielo. Ma solo la studentessa sembra capirlo, gli altri viaggiatori guadagnano le scale indifferenti.

I pochi che si fermano, soprattutto donne, la osservano a distanza. Cosa le sta succedendo? Difficile dirlo. Forse vive un momento difficile, forse ha preso quella vacanza per ristabilirsi. Forse ha perso una persona cara, o forse ha perso un figlio o forse ha deciso di perderlo e quel palloncino glielo ricorda.

Di certo, lo guarda come se fosse lei il palloncino: come se, a furia di fare posto all’aria, fosse destinata a perire nel freddo del cosmo. L’unica che le si avvicina è proprio la bambina, a cui quel pianto imprevedibile ha sottratto i riflettori. Prima tutti guardavano lei, adesso tutti guardano la studentessa (anche se non sono tutti, ma pochi, non importa: importante è il pubblico). Ragiona così: se questa ragazza piange, è giusto che pianga anch’io. E l’espressione trasognata del volto, pur mantenendo compostezza, si modifica in una smorfia, le labbra si arricciano, gli occhi si appannano. Sembra un gioco di prestigio.

La bambina imita le lacrime in un modo così partecipato che la studentessa (in questo momento mi viene da chiamarla Sara) si abbassa, le sorride e la abbraccia. Sono al centro della scena. La fusione delle due donne scalda il cuore. Dura pochi secondi. La studentessa urla alle persone che fanno cerchio intorno: cosa volete? Perché mi guardate? Poi scosta la bambina e alza ostinatamente le mani al cielo. Come se volesse ghermire il palloncino e riportarlo a terra. Il palloncino è però irraggiungibile. Rimpicciolisce, viene risucchiato. Respirato dal cielo, dico a me stesso.

Come lo tzimtzum, mi trovo a sussurrare.

Laura ha una passione per le domande importune

Laura ha una passione per le domande importune e, appena siamo seduti, mi chiede: Cos’è lo tzimtzum? Rispondo un po’ dottorale: lo tzimtzum è un concetto della mistica ebraica, ma già definendolo come concetto si rischia di tradirlo. Il concetto è immobile, mentre lo tzimtzum è movimento. In particolare, è il movimento con cui Dio si esilia da sé stesso, per permettere la creazione. In un certo senso è una idea geniale: se Dio coincide con il cosmo ed è per definizione perfetto nella sua gloria, come può esserci creazione, e soprattutto storia? Dio, se vuole la storia e la creazione, per prima cosa deve fare spazio.

Possiamo immaginare lo tzimtzum come un respiro. Il primo atto creativo di Dio è inspirarsi per creare il vuoto che poi colmerà espirando la luce divina. Il mondo inizia con un dramma, il ritirarsi di Dio. Sono goffo e impostato, me ne rendo conto. «Wow!» esclama Laura per prendermi in giro. «Quindi questa sera abbiamo assistito alla nascita del mondo».

Non rispondo. Cullato dalle vibrazioni di questo leggero sfottò, comincio a vedere due donne sulla Saint Paul’s beach di Lindos. Si chiamano Ariella e Sara e non stanno ferme, corrono. Anzi una corre e l’altra la segue, una fa spazio e l’altra lo colma. Cosa inseguono? Un palloncino portato dal vento. Mi sembra un buon inizio per una storia. Mi ritraggo ancora un po’ e la lascio entrare.

L’autore: Alberto Garlini

Alberto Garlini
Alberto Garlini

Alberto Garlini è nato a Parma nel 1969 e abita a Pordenone. Ha scritto per diversi quotidiani e settimanali, collabora con il Messaggero Veneto, insegna scrittura creativa con pordenonescrive ed è uno dei curatori del festival letterario pordenonelegge. È presidente di giuria del Premio Hemingway di Lignano Sabbiadoro.

Ha pubblicato i romanzi “Una timida santità” (Sironi Editore 2002, Premio Vigevano), “Fùtbol Bailado” (Sironi 2004, Christian Bourgois Editeur 2008), “Tutto il mondo ha voglia di ballare” (Mondadori 2007, Gallimard 2018, Polis 2021), “Venise est une fête” (Christian Bourgois Editeur 2010), “La legge dell’odio” (Einaudi 2012, De Bezige Bij 2013, Gallimard 2014), “Piani di vita” (Marsilio 2015), “Il fratello unico” (un giallo edito da Mondadori nel 2017), “Il canto dell’ippopotamo” (Mondadori 2019), “Il fico di Betania” (Aboca 2019).

L’ultimo suo romanzo, pubblicato nel 2021 da Mondadori, “Il sole senza ombra”, è stato candidato al Premio Strega 2022: racconta la storia recente italiana con la chiave di lettura inedita e perturbante della comicità.

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