Il bisnonno Paolo e quel messaggio atteso per anni
Il bisnonno Paolo morì pochi giorni prima che io nascessi e così molti in famiglia hanno voluto vedere in me una sua reincarnazione. O se non altro immaginare che nel passaggio da questo all’altro mondo, ci fossimo incontrati e lui avesse potuto in qualche modo passarmi le consegne. La sua vita eccentrica era un’opera incompiuta che andava completata. Appena il mio carattere cominciò a definirsi, tutti convennero che sì, io ero il degno erede del bisnonno. Irrequieto, mai pago di invenzione e scoperta, attizzavo la vita come un fuoco che poi guardavo bruciare estasiato. Finché qualcuno veniva a spegnermelo, perché rischiava di diventare un incendio. Certamente doveva essere stato il bisnonno a infondermi quell’irrequietezza nella sua uscita dal mondo ed era proprio da lui combinare scherzi come questo, da quel teppista e ribelle che era sempre stato.
Se non altro per sapere cosa dovevo attendermi dalla mia irrequietezza e come si sarebbe in me dipanata quell’intrigante eredità, mi incuriosiva dunque questo gemellaggio con il mio antenato e volevo saperne di più. Ma quando chiedevo cosa avesse mai fatto di tanto singolare il bisnonno Paolo, le testimonianze diventavano fumose e inconsistenti. Era un solitario, una specie di vagabondo, che ogni tanto scompariva nella campagna e non si faceva vedere per giorni e giorni. Con grande dispetto del capostipite, suo padre, che aveva bisogno delle braccia di tutti i figli per accudire la campagna e gli animali. Aveva la lingua pungente, la battuta sarcastica di grande demolitore che non crede a nulla. Qualcuno mormorava che fosse stato fra quelli che al tempo degli scioperi bracciantili andavano in giro ad incendiare i fienili. Ma nulla di certo e niente di tanto eccezionale sembrava distinguere il bisnonno, se non ancora il fatto che quand’era malato mangiava solo lumache e certe erbe che conosceva solo lui. Vagava per la campagna a raccoglierle e si preparava decotti puzzolenti sulla stufa della lavanderia dove si rinchiudeva nel caldo a purgare la sua malattia e qualcuno diceva anche a stordirsi con certe sue fumigazioni. Venni a sapere poi che la cosa più singolare della vita del bisnonno Paolo fu la sua morte.
Più anarchico che socialista detestava ogni comando
Il bisnonno, più anarchico che socialista, detestava ogni comando, che fosse un partito o una chiesa. Soprattutto non poteva vedere i preti che lui considerava grandi ingannatori della povera gente. Contro il giudizio di tutta la famiglia, aveva però sposato una donna pia e devota, che pregava ogni mattina e non perdeva una messa. La bisnonna Ada ancora oggi è ricordata in famiglia come una specie di santa che il suo creatore volle bersagliare con ogni sofferenza. Adorava un florilegio di santi suoi preferiti di cui conservava le immagini su un altarino di legno che aveva sempre un lumino acceso. Nella sua breve vita, non smise mai di tentare di condurre il bisnonno Paolo alla giusta fede, di convincerlo che c’era un al di là e una vita migliore di quella che era toccata loro in sorte da poveri contadini. Pregava per lui e chiedeva al Signore di pervaderlo della sua grazia. Il bisnonno Paolo la ascoltava amoroso, senza mai contrariarla, accettando paziente le implorazioni della moglie, quasi dispiaciuto di non potere proprio, di non farcela davvero a credere. Sembrava dire che era come se gli chiedessero di volare: lui poteva anche provarci, allargare le braccia e sbatterle ma sarebbe stato uno sforzo inutile.
La bisnonna Ada era ancora giovane quando si ammalò di un male incurabile che la consumava lentamente e faceva scuotere la testa al medico. Ma lei non si dava per vinta, sopportava la malattia e pregava, senza mai perdere la sua ardente devozione. Si accanì finché poté a compiere le faccende domestiche, a badare ai polli e all’orto. Ma presto la malattia la costrinse a letto. Il bisnonno Paolo le dedicava ogni attenzione e appena tornava dai campi si precipitava al suo capezzale, dove le donne della famiglia si alternavano per assisterla e parlavano sempre più piano, sempre meno.
Il bisnonno restava con la moglie lunghe ore, tenendole stretta la mano, come per trattenerla in questa vita. Le raccontava la sua giornata, la canapa portata al macero, la scrofa che aveva partorito, i pulcini appena nati sotto la chioccia. La bisnonna pregava e a suo marito diceva: «Prega anche tu, credi in Dio e ci ritroveremo nell’aldilà!». Ma il bisnonno scuoteva la testa. «Non c’è aldilà…» rispondeva carezzandola sulla fronte come per consolarla per la sua mancanza di fede. Poco prima di morire, dopo che ebbe ricevuto i sacramenti dal prete, la bisnonna Ada tirò forte in bisnonno per il braccio. «Ti manderò un segnale, te lo farò sapere quando sarò nell’aldilà, non potrai sbagliarti, mi sentirai! E allora tu capirai e crederai. Crederai e pregherai! Me lo prometti?» lo implorò. «Te lo prometto…» assentì lui. E confortata da quella promessa Ada spirò.
Passarono molti anni, tutta la vita del bisnonno
Passarono molti anni, tutta la vita del bisnonno, che non si risposò mai e visse come un clandestino, guadagnandosi così la reputazione di eccentrico. Da patriarca lo trattavano in famiglia e gli consentivano ogni stranezza cui si lasciasse andare come riparazione per il dolore che aveva sofferto di perdere la moglie così giovane. Il suo posto era sempre apparecchiato a capo tavola, anche quando per giorni e giorni non lo si era visto in giro per casa. E quando ricompariva, sudicio e quasi stordito, come se si fosse appena riavuto da una sbornia o da un viaggio psichedelico, nessuno gli chiedeva conto della sua assenza. Le figlie gli preparavano l’acqua calda per il bagno e la biancheria pulita sul letto.
Era piena estate quando anche per lui arrivò la morte
Era piena estate quando anche per lui arrivò la morte. Pochi giorni prima che nascessi io, un malore lo colse che sembrava solo stanchezza. Il medico non ne trovò la causa né troppo a lungo la cercò.
Il bisnonno Paolo non scendeva più dal letto dove tanti anni prima era morta sua moglie. Quando fu chiaro che il suo tempo era contato, in casa si pose il problema delle esequie. Anche se il bisnonno per tutta la vita aveva rinnegato Dio, la domanda bisognava fargliela. Se ne incaricò la nonna. «Papà, volete che faccia chiamare il prete?» gli chiese sottovoce nella penombra della stanza tagliata da due righe di sole pomeridiano. Il bisnonno, supino ad occhi chiusi, respirava piano con le mani gialle posate sul lenzuolo. A quelle parole parve risvegliarsi. Socchiuse gli occhi e si volse verso la figlia. «No, non serve. L’Ada non ha mandato a dire niente. Vuol dire che avevo ragione io, non c’è niente di là…». —
L’AUTORE: Diego Marani
Diego Marani ha lavorato per l’Unione Europea dal 1985 al 2021 con vari incarichi, da ultimo come coordinatore della diplomazia culturale dell’UE. È stato consigliere del Ministro dei Beni Culturali, Presidente del Centro per il libro e la lettura e Direttore dell’Istituto italiano di cultura di Parigi. È autore di romanzi e saggi tradotti in più di 15 lingue e inventore della lingua-gioco Europanto in cui ha pubblicato la raccolta di racconti “Las adventuras des inspector Cabillot” assieme a centinaia di articoli in diversi quotidiani europei. Con “Nuova grammatica finlandese” (2000) ha vinto il Premio Grinzane Cavour e con “L’ultimo dei Vostiachi” (2002) il Premio Selezione Campiello e lo Stresa. Altre sue opere: “L’interprete” (2003), “Il compagno di scuola” (2005), vincitore del Cavallini-Sgarbi, “La bicicletta incantata” (2006), con un cortometraggio di Elisabetta Sgarbi, “Lavorare manca” (2011) e “Il ritorno di San Giorgio” (2019). Con “Vita di Nullo” (2017) è stato finalista allo Stresa. “La città celeste” (2021) è stato definito una dichiarazione d’amore a Trieste. “L’uomo che voleva essere una minoranza” è l’ultimo romanzo (2022). Collabora con Il Sole 24 Ore, con Il Piccolo e tiene un blog su eunews. it.
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