Alle origini della Colantuono story , da capitano a mister vincente

Il figlio di Gaucci, ex proprietario del Perugia, racconta come ha scoperto il nuovo tecnico dell’Udinese. «Era alla Sambenedettese: ha carisma da vendere e il calcio nelle vene. In Friuli lo capirete presto...»

UDINE. «Decisi di cambiare, perché così proprio non poteva andare visto che stavamo retrocedendo con la Sambenedettese dalla C2, e allora chiamai Stefano nel mio ufficio a Perugia.

Lo guardai e gli dissi: “Te la senti di allenare?” Lui mi rispose che non ci aveva mai pensato e aggiunse che avrebbe dovuto smettere di giocare per farlo. Gli risposi che dovevamo evitare la retrocessione, e lui accettò stringendoci la mano.

Tutto nacque da lì, ma di certo poi non mi sarei aspettato quelle nove vittorie consecutive che non solo evitarono la retrocessione, ma ci portarono alla promozione. Sì, sono stato io ad avere scoperto Colantuono allenatore, e state sicuri che a Udine non ve ne pentirete».

È Alessandro Gaucci a raccontare come divenne allenatore Stefano Colantuono. Sì, proprio il figlio di “Lucianone”, come veniva chiamato il presidente del Perugia ritiratosi dal 2005 in Repubblica Dominicana per sfuggire all’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta.

Alessandro, che per 13 anni gestì il Perugia assieme al padre, è sempre rimasto nel mondo del calcio, dall’Umbria al Genoa (direttore area tecnica 2006/’07), fino ad approdare in Spagna dove l’anno scorso entrò come socio di maggioranza nel Cadice, per conto di un consorzio di investimento con sede a Montecarlo. «Non è andata bene, ma continuo a restare in Spagna, dove c’è una cultura e delle possibilità che il calcio italiano ora non offre».

Gaucci, lei quindi lanciò Colantuono, non l’unico tecnico sconosciuto portato allora alla ribalta dal Perugia.

«Vi dice niente il nome di Cosmi? E di Novellino? Sì, a Perugia abbiamo lanciato tecnici sconosciuti e rivalutandone altri, compresi i giocatori stranieri provenienti dall’Asia o dal Giappone. Per certi versi in famiglia abbiamo avuto la stessa lungimiranza dei Pozzo, che stimo moltissimo e che hanno fatto diventare l’Udinese un’azienda di famiglia con ricavi e risultati».

Come e quando capii che Colantuono era l’uomo giusto, proponendogli addirittura di lasciare il campo per farlo allenare?

«Eravamo in Austria, in ritiro. Avevo scelto la stessa sede per tenere sotto controllo Perugia e Sambenedettese, due delle tre squadre che controllavamo in famiglia assieme al Catania. Colantuono, che allora era giocatore e capitano, mi colpì per il carisma, la personalità con cui parlava ai compagni, e quando venne poi il momento lo scelsi come allenatore».

Lo descriva pure...

«Beh, io sono romano come lui, e lui è un romano di quelli che parlano un dialetto stretto e diretto. È uno che bada al sodo, ed entrammo subito in simbiosi. A Perugia abitavamo anche nello stesso palazzo, ci vedevamo tutti i gironi e si parlava e viveva di calcio, la sua grande passione. Per me, con le competenze che ha, ha tutto per diventare un grande allenatore, solo che finora gli è mancata l’occasione giusta, la grande squadra».

Secondo lei perché?

«Magari può pesare quell’accento forte romano, poco incline al glamour e al format delle big, ma quanto a costanza, determinazione non è secondo a nessuno».

Il dg Pierpaolo Marino lo ha accostato a Mazzone, altro tecnico romano che avete avuto a Perugia.

«È vero, è molto diretto e sa cosa vuole ottenere dai giocatori, ma non li asfissia, non li controlla se vanno a dormire in ritiro o cose del genere. Pone le regole e se qualcuno non le rispetta paga. Ha il vantaggio di essere stato giocatore, martella sul campo e nel lavoro, ma non si intromette nella vita privata».

Dicono che sia molto legato al 4-4-2...

«Tecnicamente è molto preparato invece, e non limitato come lo hanno fatto passare. E le dirò di più. È difficile fare gol alle sue squadre, cura molto gli aspetti tattici e gestisce il gruppo in base alle caratteristiche dei giocatori. Adesso prenderà conoscenza del progetto Udinese e sono certo che nella vostra piazza, che mi ricorda tanto Perugia, saprà fare bene e ricambiare la fiducia dei Pozzo».

Gaucci, tornerà a fare calcio in Italia?

«Non credo. Sto cercando qualche altra sistemazione, ma vivere e lavorare qua in Spagna è meglio, credetemi».

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