Amoroso, consiglio dal Brasile all’Udinese: «Ora devi prendere un allenatore esperto»

l’intervista
Il mare, al sole dei 37 gradi, ispirano relax e tutta quella gioia di vivere tipica dei brasiliani, ma nel suo profondo Marcio Amoroso sta provando anche una piccola nota di tristezza. Il calcio? Sì, c’entra proprio la sua passione, ma non è il futuro radioso del figlio Matteo, sempre più in rampa di lancio all’Internacional, a preoccuparlo. É l’Udinese, la sua “amata” Udinese a cui ha donato perle balistiche e gol (42) indimenticabili nelle 105 partite giocate dal 1996 al ’99 a fargli scuotere la testa. E allora siccome lui si reputa un amico dei friulani, eccolo parlare da amico vero alla vigilia della sfida col Milan.
Amoroso, l’Udinese ha cambiato la guida tecnica dopo avere cambiato faccia più volte nelle ultime partite, con alti e bassi preoccupanti. Tutta responsabilità di Gotti?
«Non entro nel merito, ma credo che per i giocatori sia troppo comodo giocare a Udine, in una città ideale che non ti mette pressione, con uno stadio tra i migliori in Europa e una società che mette tutto a disposizione, come quella dei Pozzo. Detto questo, all’Udinese non mancano i giocatori, ma l’atteggiamento, il saper giocare in due modi essenziali: bisogna saper chiudere le partite, gestendo senza rischiare nulla per poi colpire in contropiede quando si è avanti, e sapersela giocare a viso aperto quando ti trovi sotto».
Il suo pensiero sul passaggio da Gotti a Cioffi?
«Se l'Udinese vorrà davvero tornare a lottare per l’Europa dovrà investire su un allenatore esperto».
Restiamo alle necessità. A suo parere cosa manca all’Udinese?
«L’aspetto più difficile da gestire è la mancanza di Gino Pozzo, la sua lontananza dalla squadra, e parlo per esperienza personale. Ai miei tempi c’era sempre e si faceva sentire, ci sosteneva nei momenti difficili».
Se ne ricorda uno, in particolare?
«Gennaio del ’97, giochiamo in casa con la Sampdoria e perdiamo 5-4. Andammo in ritiro, restammo tutti uniti e con calma trovammo i nostri equilibri e le nostre convinzioni. Svoltiamo con la giusta mentalità e via verso traguardi insperati. Gino era lì, ci teneva molto».
Amoroso, è in arrivo il Milan che ha in Ibrahimovic un vero leader, e non solo per l’età. Forse manca anche questo fattore all’Udinese?
«Avere un giocatore dell’esperienza di Ibra è molto importante anche per l’età, perché un giovane che lo vede giocare non può non dare il massimo, e Ibra è un esempio perché gioca ancora ad alto livello alla sua età».
Lei arrivò a Udine a ventidue anni, e da giovane straniero chi trovò come guida?
«Innanzitutto i friulani, la gente, amici veri come Michele De Sabata e Alessandro Scarbolo, che mi hanno sempre sostenuto. Il punto è che adesso gli stranieri non credo possano conoscere bene i tifosi come ai nostri tempi e dalla gente si impara molto. Io capì che dovevo adattarmi al contesto e non viceversa e cambiai mentalità. In squadra, poi, le guide non mancavano tra Calori, Bertotto, Poggi, Rossitto, e poi c’era il Barone».
Causio team manager?
«Franco è stato come un padre per me, sapeva le mie qualità e mi trasmetteva i consigli giusti. Chiaro che con questi presupposti si creò poi una grande famiglia. Persone e figure come il Barone sono essenziali nelle società».
Amoroso, prima di tornare sui suoi ricordi di Udinese-Milan, tra gli attuali protagonisti c’è Beto...
«Salta bene di testa come il nostro Bierhoff, anche se non gli somiglia, e credo che se un attaccante è forte nell’aria di rigore la squadra debba giocare per lui cercando un sistema di gioco che gli permetta di avere cinque, sei opportunità a partita. Avere un attaccante che può già arrivare a dieci gol a fine andata è una risorsa da sfruttare, quindi va molto cercato».
A centrocampo, invece, sembra che manchi qualità...
«Ma non è solo un problema dell’Udinese. Oggi non si vede più il trequartista che stoppa la palla e fa un lancio di trenta e quaranta metri. Tutti vogliono giocare vicino e hanno paura di sbagliare, ma se non hai un trequartista o un giocatore che illumini gli attaccanti “muoiono di fame”. Purtroppo la mentalità del calcio italiano è questa, e si privilegiano i fisicati».
Come il suo connazionale Walace...
«Walace ha tanta forza, e si vede, a discapito però della qualità tecnica».
I suoi ricordi di Udinese-Milan?
«Abbiamo fatto delle partite bellissime e mi sembra che ne abbiamo perse due a una a San Siro. Ricordo un gol capolavoro con stop di petto e gol dopo aver superato Ayala. Ai gol ho sempre tenuto, ma preferivo segnare contro le grandi squadre perché quelli li vedevano in tutto il mondo».—
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto