Ciclismo, il mito di Giuseppe Saronni: “Bruno Pizzul? Ci ha lasciato una grande persona”
Appuntamento a Cormòns, nel giorno delle Strade Bianche: due Giri d’Italia, un Mondiale, 193 corse vinte tra anni ’70 e ’80

Nel giorno delle Strade Bianche, dove non è nemmeno quotato un altro assolo del suo pupillo Tadej Pogacar, stasera arriverà a Cormòns, dove una corsa come quella toscana “spaccherebbe” subito con quei muri e quei paesaggi, per presentare la 14ª tappa del Giro d’Italia, un abbraccio tranfrontaliero che sa di pace e nuova Europa (speriamo bene) tra Treviso e Gorizia-Nova Gorica. All’inizio della chiacchierata, però, Giuseppe Saronni, due Giri d’Italia, un Mondiale, 193 corse vinte tra anni ’70 e ’80, semplicemente un mito, ne ricorda un altro di mito.
«Vengo a Cormòns nella terra di un grande uomo e giornalista come Bruno Pizzul. Quella di stasera avrebbe dovuto essere anche la sua festa, oggi avrebbe compiuto 87 anni. Lo conoscevo bene, veniva sempre alla presentazione delle mie squadre. Da buon friulano era un grande appassionato di ciclismo. Era simpatico, serioso, non si prendeva sul serio. Ci ha lasciati una grande persona».
Con quella voce inconfondibile se ne va un pezzo di sport...
«Come quando se ne andò Adriano De Zan. Non c’è nulla da fare, quarant’anni fa lo sport era diverso. Prendete il ciclismo, era un mondo carico di storie e i suoi colleghi ci sguazzavano a raccontarle perchè noi corridori eravamo anche un po’ tonti. Non c’erano i social, le squadre non avevano i motorhome in cui si rinchiudevano».
Un mondo pieno di storie, come la spy story ambientata a Gorizia in cui lei fu protagonista al Giro 1983.
«E chi se la dimentica. Avevo conosciuto questa regione già nel 1977, primo anno da pro e vittoria al Giro del Friuli, col mio capitano Gibì Baronchelli alla Scic che in corsa mi raccontava di quando, l’anno prima, una scossa di terremoto (era settembre 1976 a Pordenone ndr) fece scappare tutti dall’albergo. Ci tornai in maglia rosa a Gorizia nella penultima tappa del Giro».
Un tifoso tentò di sabotarla provando a metterle del Guttalax nel cibo..
«Ero in maglia rosa, da una settimana una bronchitella presa sull’Appennino mi faceva tremare. Vedevamo a cena in albergo da un paio di giorni strani individui al tavolo vicino. Uno di loro alla partenza della crono mi disse: “Saronni le è andata bene”. Dopo l’arrivo trionfale a Udine seppì che quelli erano poliziotti e che era stato sventato un tentativo di sabotarmi».
Come finì?
«Stefano De Tongo, lo sponsor non denunciò il sabotatore, gli bastarono le sue scuse».
Saronni, oggi lei sul Collio toccherà con un dito la Slovenia...
«So dove vuole arrivare. Certo, magari Pogacar, che ho scoperto io e portato alla Uae nel 2019, fosse nato qualche km più a ovest... Ma lo sport è così, adesso è tempo di tifare altri campioni non italiani».
Lo sloveno può vincere la Sanremo in maglia iridata, come lei fece nel 1983?
«Non è il suo terreno, ma un fuoriclasse così può fare di tutto. Terrà tutti incollati alla tv per capire come ci proverà. A uno così consigli non servono certo».
Ne darebbe invece al friulano Jonathan Milan?
«Lo seguo da anni e mi piace tantissimo. Con una squadra fortissima come la Lidl Trek vince tanto. Lui ha la necessità opposta di Pogacar, sperare in una volata dove sarebbe uno di quelli da battere. Poi abbiamo Ganna che può tentare un colpo da finisseur».
E, per ora, poco altro. Un bella patata bollente per il nuovo ct Marco Villa...
«Un ct può far poco. Va ricostruita la base del nostro movimento, i risultati arriveranno. Ora divertiamoci con Van der Poel, Evenepoel, Vingegaard, Pogacar. Certo, fosse nato qualche km più in qua».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto