Così il popolo del ciclismo si riappropria del suo stadio itinerante

Sull’Alpe di Mera scenario ante-Covid: bici, scritte, grigliate, incitamenti e...mascherine

Antonio Simeoli, Inviato Sull'Alpe di Mera

ALPE DI MERA. Lago d’Orta, Lago Maggiore e vorremmo dire di più di quei paesaggi mozzafiato visti venerdì grazie al Giro d’Italia se non fossimo ovviamente frenati da quanto di terribile accaduto domenica sul Mottarone con quelle 14 vittime finite loro malgrado nella roulette russa della stupidità umana.

Poi la Valsusa e la salita dell’Alpe di Mera, da Scopello 9,7 km per 872 metri di dislivello al 9% di pendenza media in 27 tornanti. Una bella, inedita per il Giro e dura ascesa. In quota un paesaggio mozzafiato con a nord, una vista reale sul Monte Rosa. Che valeva il prezzo del biglietto.

Il bello del ciclismo, dei tifosi del ciclismo, però, è che il biglietto non c’è. Siamo saliti in seggiovia ieri prima delle fasi clou della corsa, quasi trenta minuti di salita cullati dalla tranquillità del bosco, poi 10 km a piedi in discesa per andarvi a raccontare la tappa.

Bene, quei chilometri tra tifosi che arrivavano in quota in salita e centinaia di spettatori che si assiepavano, a distanza, ma felici a bordo strada o sui tornanti hanno certificato una cosa meravigliosa: il popolo del ciclismo, una gran parte della bellezza del Giro d’Italia, dopo oltre un anno di mascherine (che ci sono ancora, si badi bene), lockdown, Italia colorata a zone, si è riappropriato dello stadio itinerante del ciclismo. Cartelli, scritte sull’asfalto, tante per Bernal, che da queste parti è di casa, striscioni, grigliate, bevute, incitamenti, sì anche tante bici elettriche bizzarra novità degli ultimi anni. Purché si torni a vivere anche grazie allo sport. Dando un calcio al virus .

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