E’ morto Vittorio Adorni, aveva 85 anni: addio a un grande del ciclismo

Antonio Simeoli

Se n’è’ andato anche lui. Nella sua Parma, a 85 anni, la vigilia di Natale è morto Vittorio Adorni uno dei grandi nel ciclismo italiano. Era il più’ anziano vincitore del Giro d’Italia in vita, un primato che gli aveva lasciato qualche settimana fa l’elettrotreno di Forlì Ercole Bardini, un altro addio in questa fine 2022 da dimenticare per le due ruote.

Adorni vinse sessanta corse in 9 anni di professionismo dal 1961 al 1970, le stagioni dell’esplosione di Eddy Merckx e di Felice Gimondi. Curiosamente fu compagno di squadra e mentore di entrambi, un bel primato per questo campione, che oltre a grandi corse, il Giro del 1965 e il campionato del mondo del 1968 (su questo ci torneremo) e numerosi piazzamenti nelle classiche (un secondo posto alla Sanremo e 4 alla Liegi Bastogne Liegi), fu il primo campione del ciclismo e sbarcare nel mondo dello spettacolo e nell’intrattenimento. Insomma, se Bartali e Coppi si limitarono a quella mitica comparsata al Musichiere, Adorni ha fatto di più divenendo storico opinionista e pure inviato in corsa di Sergio Zavoli al “Processo alla tappa” e pure indimenticata spalla per anni e anni delle telecronache Rai di Adriano De Zan.

Fino all’irrompere del Covid, cioè fino al Giro 2019, poi, era un immancabile compagno di viaggio al Giro d’Italia, presenza fissa al quartier tappa dove quotidianamente deliziava tutti con aneddoti imperdibili. Se ne va un gigante, che aveva cominciato allenandosi prima e dopo il lavoro di operaio alla Barilla finchè il grande Pietro un giorno non lo sorprese arrivare in azienda con ancora indosso la tenuta da corridore.

“Sono stato ad allenarmi”, disse umilmente Adorni al grande industriale della pasta. “Allora allenati, mi ripagherai nel tempo”. E lo fece. A suon di vittorie e signorilità. La storia del ciclismo di quel decennio procedette con grandi nomi, corse e imprese e Adorni la accompagnò. Vinse il Giro 1965, con distacchi memorabili, e ora impensabili, al secondo e al terzo, oltre undici minuti a Italo Zilioli e quasi tredici a un giovane Felice Gimondi che correva con lui nella mitica Salvarani.

Eccolo allora il primo aneddoto. La storia si sa, Felice, che se n’è andato ormai nell’agosto di tre anni fa, non avrebbe dovuto andare al Tour dopo il podio al Giro. Fu chiamato alla partenza della Grande Boucle orfana per quell’anno di Anquetil, in extremis. Proprio il grande Jacques aveva un cruccio: non far vincere la corsa all’odiato Raymond Poulidor.

“Allora chiese ai grandi favoriti – ci raccontò Adorni in un imperdibile siparietto al Giro qualche anno fa – di battere Poulidor e quando fui costretto ad alzare bandiera bianca, sentendolo preoccupato, lo rassicurai dicendo che ci avrebbe pensato il giovane Gimondi a vincerlo il Tour”. Il finale della storia è godibile.

“A fine Tour Jacques trovò il modo di rintracciarmi in un ristorante di Parigi dove ero con mia moglie e di ringraziarmi”. Era un’altra epoca. Era l’epoca dell’irrompere nel mondo delle due ruote, seguitissimo all’epoca, di Eddy Merckx. Pluri-iridato e vincitore di classiche, il belga piombò al Giro per la prima volta in maglia Faema nel 1968 per dare l’assalto anche ai grandi Giri.

Chi era il capitano? Naturalmente il “vecchio” Adorni. “Dopo una delle prime tappe – ecco un altro aneddoto, pietra miliare della storia del ciclismo _sentii in albergo un po’ di confusione, vidi il gruppo dei belgi con Merckx allegri in hotel a fare baldoria. Chiamai Eddy in disparte e lo riportai in camera. “Vuoi vincere il Giro?” Così non si fa.

Poi, certo, non mi ascoltava molto quando gli dicevo di non attaccare sempre e risparmiare energie, ma lui era il più grande di tutti”, raccontava Vittorio. E il suo Mondiale a Imola? Dominante, a sorpresa.

Esilarante il racconto di quel patto con la moglie Vitaliana in quella torrida (non solo per le temperature) estate del ’68 in Italia. “Camere separate e astinenza dal sesso fino al Mondiale”, ci raccontò. La signora Vitaliana se ne fece una ragione, lui stantuffò sulla sua bici per migliaia di chilometri di allenamento. Fino al Mondiale, dove il favorito era Gimondi e non certo Vittorio da Parma.

Che invece se ne uscì con un numero da maestro, una fuga in cui si intrufolò subito e novanta chilometri di passerella solitario fino all’arrivo all’autodromo con distacchi ora impensabili, caratteristica delle sue due vittorie più belle, sui rivali: 9’50 a Van Springel e oltre 10’ a Dancelli.

La Salvarani di Gimondi aveva fatto tanti pullman per portare gli operai a vedere la vittoria di Felice perché tutti erano convinti che vincesse lui. Quella fuga fu quasi come essere in uno stadio, sulle tribune la gente urlava, poi nel finale mi accorsi che avevano girato i cartelli di Gimondi e avevano scritto: W Adorni», racconta nella sua autobiografia “Il Volo dell’Airone – Vita e imprese di un campione”, scritta nel 2021.

E ancora: «Dopo le premiazioni sono andato a casa, ma sulla strada verso Parma ero rimasto bloccato a San Lazzaro. Quando sono riuscito a ripartire mi accorsi che mancava un fanale: qualche tifoso l’aveva preso… Trovai la casa piena di gente. A un certo punto mi dissero che c’era Pietro Barilla, io avevo lavorato alla Barilla anni prima.

Sono andato giù di corsa e c’era lui con i suoi tre figli, avevano portato un magnum di Dom Perignon che abbiamo bevuto tutti insieme. Cose semplici… Andai a dormire tardi, ma anche se non avessi dormito sarebbe stato lo stesso: avevo vinto il mondiale! Attaccai la maglia iridata davanti all’armadio così quando finalmente andammo a letto io e mia moglie potevamo guardarla». Col sorrido, un grande sorriso proprio al Giro d’Italia qualche anno fa ci svelò che quella davanti alla maglia iridata “fu una notte tranquilla. Avevo aspettato tanto di riabbracciare mia moglie che…”

Due anni fa, grazie a Davide Cassani, il Mondiale post lockdown tornò su quelle strade emiliane proprio nel ricordo di quell’impresa, Vinse il francese Alaphilippe, con una fuga nel finale. Anche il piccolo Cassani fu portato all’epoca dal padre a tifare Gimondi e si ritrovò a incitare il grande Vittorio. Che dopo il “Processo alla Tappa” si ritrovò addirittura a fare il conduttore tv sulla seconda rete del programma a quiz “Ciao Mamma” con Liana Orfei”. Raccontava aneddoti e aneddoti col sorriso di quell’avventura dietro le telecamere. Che all’epoca lo incuriosì e a tratti lo imbarazzò.

Apprezzato direttore sportivo all’inizio degli anni Sessanta alla Salvarani e alla Bianchi, Adorni, però, per compostezza e preparazione si distinse soprattutto al fianco di Adriano De Zan nelle cronache delle corse ciclistiche. Commentatore pacato, competente, mai concitato. Anche qui, visto quel che accade oggi in tv anche nel mondo del ciclismo, una perla rara, un esempio. Un gigante.

Che, negli anni in cui la carovana rosa si avvicinava al Friuli e alla Carnia, ci sorrideva e allargava le braccia. “No, sullo Zoncolan io avrei fatto tanta fatica, non invidio i corridori che la devono fare”. Sempre col sorriso sulle labbra e quell’ironia di sottofondo. Arrivederci Vittorio. Come ha scritto Norma, la figlia di Gimondi sui social. “Ciao Vittorio, salutami papà”.

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