Ecco Alessandro Ballan, ultimo vincitore del titolo mondiale di ciclismo su strada

Antonio Simeoli

Domani, testimonial del progetto bici solidale, è atteso alla Fiera di Udine a Idea Natale Alessandro Ballan e subito scatta la nostalgia per la maglia iridata.

Semplicemente perchè il 44enne di Castelfranco Veneto, ora tra l’altro commentatore Rai, è l’ultimo vincitore del titolo mondiale di ciclismo su strada. Correva l’anno 2008 a Varese. Da quel giorno, quando l’Italia all’ultima recita di Paolo Bettini piazzò anche Damiano Cunego al secondo posto, è iniziato il lungo digiuno. Gira e rigira la maglia iridata manca all’Italbici da 15 anni.

E il record del digiuno più lungo dal 1932 (Binda) al 1953 (Coppi) praticamente è stato battuto perchè dal 1939 al 1946, causa guerra, il titolo non fu assegnato.

Ballan, perchè il Mondiale manca da così tanto in Italia?

«Semplice: un momento ciclistico così basso penso non ci sia mai stato. Vero, il ciclismo si è globalizzato, ora i campioni vengono dall’Europa dell’Est, dagli Stati Uniti, anche dall’Africa pensiamo a Grmay, ma non basta questo per giustificare questa crisi».

Cos’altro?

«Mancano squadre, dalle World Tour, l’Italia non ne ha più una da anni dopo Lampre e Liquigas, a quelle giovanili. Del resto ora anche per un’azienda sponsorizzare una squadra diventa un’impresa. I team sono così sempre meno, le gare pure e fin dalle categorie minori c’è l’esasperazione da vittoria».

Risultato?

«Quando si affacciano al professionismo i nostri atleti spesso arrivano spremuti, mentre altre nazioni a quell’età propongono fenomeni come Evenepoel, Pogacar, Van der Poel».

Altro?

«Nei ragazzi di oggi manca la fame di raggiungere un obiettivo».

Com’era lei da adolescente ciclista sognatore?

«Avevo passione, per tre anni nell’età dello sviluppo ho praticamente smesso e lì sono stati fondamentali gli amici a farmi continuare. A 15 anni ho perso mio papà, avevamo un’azienda di floricoltura: io e mio fratello abbiamo continuao a correre grazie al sostegno di un appassionato come Remo Mosole, lavorando e studiando. E quando abbiamo dovuto chiudere l’azienda e correvo solo in bici nei mesi invernali ho fatto pure l’imbianchino e l’idraulico. Insomma, ho capito subito che era molto meglio fare sacrifici in bici».

A quando il prossimo campione del mondo con la maglia azzurra?

«Passeranno almeno altri cinque anni».

Lei spera di più per mantenere il record?

«No. Certo, come ultima maglia iridata continuo a essere chiamato a decine di venti e ogni volta mi commuovo a vedere quello scatto decisivo nel finale a Varese. Ma sono un italiano e tifo per gli italiani».

Chi tra gli azzurri può vincere il Mondiale?

«Ganna, con un percorso adatto e se riesce a scattar via nel fianale, oppure Alberto Bettiol, il primo azzurro a vincere il Fiandre nel 2009 a 12 anni dal mio trionfo, se trova la giornata giusta. Perchè no anche il “vostro” Milan, crescendo e con un treno giusto, quando ci sarà un Mondiale per velocisti potrà fare Bingo».

Van der Poel, l’ultima maglia iridata le piace?

«Fenomenale, è un talento incredibile. Che arriva dalla mountain bike o dal ciclocross, una cosa non banale per cercare di comprendere perchè all’estero abbiano una marcia in più».

Lei domani sarà in Friuli testimonial di un progetto solidale arte-bici. Perchè i campioni del ciclismo sono spesso in prima linea in iniziative del genere?

«Sono abituati a stare con la gente e fondano il loro successo sul rapporto e la spinta del pubblico. Ve l’immaginate un tifoso giocare a calcio con Messi o Mbappe? Spesso invece accade che un cicloamatore si accodi e chiacchieri in alleamento con un campione del pedale». La fatica è uguale per tutti.

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