Ecco il ritratto di mister Velazquez, la testa sempre sul calcio: «Non stacco mai, lo sa anche mia moglie»

Sulla panchina dell’Udinese è arrivato un “maniaco del pallone”. La giornata di Julio Velazquez comincia alle sei di mattina: un’oretta di corsa (fino a ieri a Sankt Veit, da oggi a Udine), poi la colazione e dalle otto in poi solo e soltanto calcio. Riunioni con i propri collaboratori, organizzazione degli allenamenti, allestimento dei video sia individuali che di squadra da far vedere ai calciatori, studio degli avversari.
Mister Velazquez, quando è arrivata la telefonata di Gino Pozzo che le offriva la panchina dell’Udinese è rimasto sorpreso?
«No, era una normale situazione di calcio. Poi è chiaro che se una società come l’Udinese pensa a te, è una novità molto positiva».
A Udine si erano fatti tanti nomi di tecnici, il suo no.
«Un allenatore di un paese straniero è sempre più difficile da individuare. Come dissi il giorno della mia presentazione io e l’Udinese ci parlavamo da nove mesi».
Cosa sa della storia del club?
«Ci ha giocato Ricardo Gallego. Al Mondiale del ’90 la Spagna giocò il girone di qualificazione a Udine, Michel segnò tre gol al Friuli con la Corea. L’Udinese ha fatto grandi cose con Guidolin, e in precedenza con Spalletti e Zaccheroni».
Ha citato i tre allenatori protagonisti dei cicli migliori. Alla base c’è sempre la continuità tecnica.
«Ovvio. Se un allenatore comincia a fare risultati tutto il resto arriva di conseguenza. Poi questa proprietà ha fatto cose oggettivamente belle per Udine e l’Udinese».
Dell’Udinese di Zaccheroni cosa ricorda?
«Bierhoff, il centravanti tedesco, e il tridente che componeva con Poggi e Amoroso. Fece un grande lavoro, anche innovativo per quei tempi, Zaccheroni».
Cosa ci può raccontare del Velazquez calciatore?
«Ho giocato solo a livello amatoriale. Il ruolo? Difensore centrale. A 15 anni ho cominciato ad allenare, fino ai 20 ho fatto il giocatore e il tecnico, ma era impossibile farlo bene con gente che lavorava e che si poteva allenare solo alle otto di sera. La mia vocazione era quella della panchina e ho deciso di intraprendere quella carriera».
Il calcio è una passione di famiglia a casa Velazquez?
«No, si tratta di una cosa personale. A fine anni ’80 “bevevo” calcio in tv. In Italia c’era il Milan degli olandesi, l’Inter dei tedeschi e il Napoli di Maradona e Careca».
Da bambino aveva un idolo come calciatore o come allenatore?
«Il giocatore che accendeva più la fantasia era Maradona, ho apprezzato Sacchi e poi Maturana che, chiusa la parentesi con la nazionale colombiana, venne ad allenare il Valladolid, la squadra della mia città. Avevo dieci anni che andavo a vedere i suoi allenamenti».
La squadra che ha giocato il calcio migliore degli ultimi trent’anni?
«Il Barcellona di Guardiola. Tre i fattori fondamentali. Uno: il livello dei giocatori. Due: i singoli che erano un gruppo della stessa età al top della carriera. Tre: l’idea di gioco di Pep, che ha permesso di esaltare le qualità dei singoli».
Al di là di moduli e tattiche il calcio è l’intersecarsi di due concetti: quelli tempo e spazio. Concorda?
«Il calcio è questo. Mettere la palla al posto giusto nel momento giusto per favorire la giocata del compagno. Xavi e Iniesta erano due maestri in questo. A Udine avete avuto un calciatore, Di Natale, che era un finalizzatore, ma alzava anche lui il rendimento della squadra con le sue giocate di grande qualità».
Con Velazquez sarà impossibile vedere l’Udinese con la difesa a tre?
«In Spagna ho giocato a tre. Per ora lavoriamo sulla linea a quattro, ma non è detto che non si possa cambiare: dipende da tanti fattori».
Lei conosceva tutti i giocatori dell’Udinese ma osservarli dal vivo è un’altra cosa. C’è qualcuno che l’ha sorpresa in positivo?
«È vero che seguirli da vicino è un’altra cosa, ma 38 partite non mentono. Comunque tutti mi hanno confermato quello che già sapevo».
Le abbiamo fatto questa domanda perché Fofana sembra un giocatore completamente ritrovato.
«Il contesto conta nel calcio come in tutti gli altri lavori. Prima che calciatori sono persone. Comunque sono molto soddisfatto di cosa sta facendo Fofana».
Si è creata una certa empatia tra le varie componenti. del club. Poi bisognerà attendere i risultati del campo, ma le premesse sono confortanti ...
«Daniele Pradè è un dirigente top. Bravissima persona oltre che ottimo professionista. Sono contento del clima che si è creato, i giocatori lavorano in maniera molto rigorosa rispettando tutti».
L’unica nota stonata è stato il “caso Danilo”.
«Ho grande rispetto della carriera di tutti, questa è una situazione di competenza della società e per questo motivo non voglio parlarne».
Lasagna è una prima o una seconda punta?
«Nel calcio etichettiamo tutto. Prima di tutto Kevin è un bravo calciatore. Per me deve giocare in attacco nella zona centrale. Può stare da solo là davanti o vicino a un altro compagno».
Lo scorso anno sono stati 63 i gol subiti. È sulla fase difensiva che lei dovrà intervenire di più?
«Delle cose dello scorso anno non parlo per rispetto dei miei colleghi. Ribadisco che un gol segnato non è solo merito di chi lo fa, e un gol subito non è colpa solo di chi lo subisce».
I social sono un ostacolo per fare gruppo?
«Una volta in treno tutti viaggiavano con un libro, oggi con l’ipad. Non per questo significa che oggi non si può fare gruppo».
Preferisce il calciatore duttile o quello specifico per un determinato ruolo?
«In una squadra è importante avere sia questi che quelli».
È molto legato alla sua città d’origine?
«Certo, Valladolid è casa mia, ma sono andato via presto di casa e sono un cittadino del mondo. E a Udine, ve lo dico subito, ci sto bene».
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