Il lungo applauso dello stadio Friuli per dire chi siamo
Gli operatori sanitari indicano alla curva dell’Udinese di non cantare, lo fanno anche i giocatori delle due squadre. Allora la gente capisce: N’Dicka viene portato fuori in barella

Ndicka si accascia a terra. E quei gesti riportano indietro nel tempo. A Euro 2021, quando Eriksen stramazzò a terra, a Pescara, esattamente e maledettamente 12 anni fa, quando sul campo dell’Adriatico finì la vita dell’ex Udinese Morosini.
Perchè, si sa, la vita non propone date a caso. Gli operatori sanitari indicano alla curva dell’Udinese di non cantare, lo fanno anche i giocatori delle due squadre. Allora la gente capisce. Sgomenta, s’interroga.
Osserva. Prega. Aspetta il minimo gesto di quei barellieri, dei medici dei due club. In un attimo la gioia per il gol di Pereyra, la delusione per quello di Lukaku, l’apprensione dei tifosi dell’Udinese per una squadra che stava perdendo campo e dava l’idea di non poter reggere molto, o dei supporters della Roma che, al contrario, s’immaginavano gioire per un altro gol del marcantonio belga o un sinistro di Dybala passano in secondo piano.
E la vita, sacra, ha preso il sopravvento sul calcio. Tutti lì ad aspettare un cenno. E quando il ragazzo francese, naturalizzato dalla Costa d’Avorio, uscendo in barella, ha fatto un minimo cenno rassicurante con la mano, allora nessuno, onestamente, ha pensato più alla ripresa della partita, all’Udinese, che se non avesse fatto punti sarebbe finita ancora più nel baratro, al Milan che nel pomeriggio aveva regalato un punto al Sassuolo (e addirittura potevano essere tre, ma anche zero, se il Diavolo avesse fatto le cose per bene), oppure al Napoli impantanatosi col Frosinone.
Chissenefrega. Viene prima la vita, viene prima la sportività. Vengono prima i valori. E così, a proposito di valori – e lo diciamo con più forza dopo quel tweet diffuso dalla Roma col sorriso di Ndicka dal letto di ospedale – anche i tifosi dell’Udinese si prendono una bella rivincita dopo la (giustificata) valanga di fango piovutagli addosso a gennaio con gli insulti razzisti a Maignan.
Quell’applauso, lunghissimo, seguito ai quei minuti infiniti di silenzio e apprensione, è stata sicuramente la cosa più bella vista al Friuli.
Un applauso che sa di vita, di sport, di gente perbene che va allo stadio per divertirsi e tifare per la propria squadra. E applaudire anche l’avversario, se utilizza gli stessi codici, come quelli della sportività e, ad esempio, cose viste da poco sul prato del Friuli, non esulta sguaiatamente per una vittoria non determinante al 97’ davanti a un rivale boccheggiante.
Si rivedranno Udinese e Roma di qui alla fine del campionato, si rivedranno per giocare una ventina di minuti dando vita, come se ce ne fosse bisogno, all’ennesimo capitolo calcisticamente inedito da queste parti in quest’anno sportivamente parlando a tinte fosche bianconere. Perfetto sarebbe che quel maxi-supplementare finisse con un altro lungo applauso, magari con Ndicka accomodato a bordo campo o in tribuna, per non dire già in campo. Sportivamente parlando sarebbe un bell’applauso. E ci siamo capiti.
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