Italia Germania 4-3 è la partita del secolo: così il calcio unì il Paese

Quando il pallone divenne poesia e incantò il mondo intero 

In quella notte l’alba squarciò il buio con un gol di Gianni Rivera ben prima che arrivasse la luce del giorno. In quella notte che non fu mai tardi a un certo punto scoprimmo di aver vinto una partita che non sarebbe finita spegnendo il televisore. Perché quella non fu solo Italiagermaniaquattroatre; anche se allora non potevamo saperlo, era l’inizio di un romanzo immenso dal titolo “La Storia siamo Noi”.

Quella fu la partita che hanno visto tutti, anche chi non c’era; un capolavoro che oggi va a memoria, grazie alle parole di Nando Martellini che per quelle immagini sono come le musiche di Ennio Morricone per i film di Sergio Leone.

È molto più della “partita del secolo”, di quella scritta “partido del siglo” su una targa all’ingresso dello stadio Azteca di Città del Messico che per molti è luogo del cuore senza averci mai messo piede. È una delle prime riprese a colori che in Italia vedemmo in bianco e nero, con le sovrimpressioni fatte con i trasferelli. Cose come “Anotador scorer”, “Tiempo extra”, “Vivo live” e “Repet replay”.

È un batticuore immenso questo film già visto che ogni volta ci fa pensare “oddio, mica sbaglierà stavolta?” quando spuntano Tarcisio Burgnich, Gigi Riva e Gianni Rivera davanti al portiere Sepp Maier. Anche chi era poco più che bambino, quella notte del 17 giugno 1970, ricorda ogni attimo di quella gita sulle montagne russe delle emozioni infinite, fra il gol di Roberto Boninsegna dopo otto minuti e quell’assalto tedesco da Fort Apache che ci faceva temere il peggio. Fino al pari di Karl Heinz Schnellinger quando ormai l’assedio sembrava finito, fino ai supplementari da infarto.

L’ITALIA E LE TENSIONI POLITICHE

Sì, poi quel Mondiale non lo vincemmo ma alla storia con le coppe ci passano anche le imprese epiche. E quella partita fu il calcio oltre ogni bellezza, perché c’era tutto un “prima” che non faceva proprio pensare a un epilogo come questo.

E c’era il momento particolare di un Paese come il nostro stretto nella morsa fra la fine del boom economico degli anni Sessanta e l’inizio della crisi degli anni Settanta. L’uomo era appena andato sulla Luna e da poco c’era stato un batticuore planetario per la missione fallita dell’Apollo 13, quella di «Houston, abbiamo un problema».

Erano gli ultimi mesi in cui per telefonare da una città all’altra serviva il passaggio dal centralino della Sip. E il telefono in casa ce l’avevano ancora in pochi, con stipendi che per le classi popolari oscillavano fra le 120 mila lire di un operaio e le 150 mila di un impiegato, fra 62 e 77 euro.

Ma un caffè e un quotidiano costavano 70 lire, meno di 4 centesimi. I prezzi erano più bassi di 19 volte rispetto a oggi e gli stipendi 25, dunque di fatto stavamo peggio. Era comunque un’Italia che guardava alla conquista dei diritti e della scolarizzazione di massa, fra dure battaglie politiche, nelle scuole e in fabbrica. Il 1970 è stato l’anno dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori, strumento di crescita civile.

E anche quello della legge sul divorzio, che più avanti (nel 1974) supererà lo scoglio di un referendum promosso dall’ala più retrograda della Dc spalleggiata dal Vaticano. Il tutto nell’intreccio di una strategia della tensione immersa nel terrorismo. Presidente della Repubblica era il socialdemocratico Giuseppe Saragat e a capo di un governo di coalizione Dc-Psi-Psdi-Pri c’era il democristiano Mariano Rumor.

NIENTE LETTO DOPO CAROSELLO

Italiagermaniaquattroatre finì dunque per riunire un Paese profondamente diviso. La partita si giocò alla mezzanotte italiana: davanti ai televisori in 17 milioni, anche tanti ragazzini che per una volta non andarono a letto dopo Carosello, il programma di spot pubblicitari fatto di mini- sceneggiati, in onda alle 21 dopo il Telegiornale sul Programma Nazionale. Allora Rai 1 si chiamava così, Rai 2 c’era solo da nove anni e si chiamava Secondo Programma. La tv finiva qui.

Insomma, mezzo secolo fa era tutta un’altra Italia. Ma è da lì che il calcio azzurro ha cominciato ad abbracciare il Paese. Lo farà anche nel 1982 con la vittoria in Spagna e in tutte le competizioni internazionali dove ci saranno maglie azzurre in cui identificarsi.

Per il Mondiale è stata la prima volta con una partecipazione così intensa. Le dirette tv c’erano dal ’54 ma i televisori erano rari e nell’edizione svizzera gli azzurri avevano perso quasi subito con i padroni di casa. Nel ’58 erano stati eliminati prima del via dall’Irlanda del Nord; nel ’62 si giocava in Cile e fu un disastro. C’era poi stato il Mondiale 1966 in Inghilterra, quello del ko con la Corea del Nord.

Anche per la spedizione messicana non c’era grande fiducia, nonostante il trionfo di due anni prima, quello dell’ Europeo vinto in casa, l’unico della storia azzurra. Nel gruppo guidato dal ct Ferruccio Valcareggi c’erano tensioni, acuite dall’improvvisa indisponibilità del centravanti Pietro Anastasi seguita dal pasticcio di una doppia convocazione per sostituirlo. Si erano aggiunti Roberto Boninsegna e Pierino Prati e c’era da fare un taglio.

Toccò a un mediano, Giovanni Lodetti, grazie a uno strano giro di magheggi fra Milan e Federazione legati al calciomercato. C’era un brutto clima in ritiro e l’unico che andò a consolare il rossonero fu il capitano della Nazionale e dell’Inter, Giacinto Facchetti.

Poi cominciarono le partite del girone e l’Italia passò con un cammino da minimo sindacale: vittoria con la Svezia grazie a una ciabattata di Angelo Domenghini e due pari senza gol con Uruguay e Israele. Quindi i quarti, con i padroni di casa: si giocava in altura e loro erano più freschi. Il Messico passò in vantaggio con Gonzalez al 13’. Tempo 12 minuti e gli azzurri pareggiarono con un’autorete di Peña. Solo nella seconda parte della ripresa arrivarono i gol di Riva (63’), Rivera (70’) e ancora Riva (76’): 4-1.

E QUEL QUASI GOL DI PELE'...

Si arrivò così alle semifinali con quattro squadre già titolate. La Germania Ovest con un Mondiale; Italia, Uruguay e Brasile con due. La Coppa, dedicata a Jules Rimet, il “padre” del Mondiale, per regolamento veniva assegnata definitivamente a chi se la aggiudicava tre volte, quindi la finale avrebbe potuto avere un valore aggiunto.

Inoltre era stata una bella edizione, nonostante certi ritmi sonnolenti dovuti alla rarefazione dell’aria. Prima ancora della “partita del secolo”, la rassegna ci aveva regalato anche la parata più bella di sempre in Brasile-Inghilterra nella fase a gironi.

Era il 15’: cross da destra di Jairzinho, Pelé di testa schiacciò all’angolo opposto a quello dove si trovava il portiere inglese Gordon Banks, capace di un balzo a velocità siderale. Pelé dirà: «Ho segnato un gol, solo che Banks lo ha deviato in corner».

Il Brasile era geometria e poesia, musica calcistica con cinque numeri dieci davanti e tanti piedi buoni dietro. L’Italia invece non riusciva a schierare insieme Sandro Mazzola e Gianni Rivera, due fuoriclasse. Valcareggi li alternava, preferendo “la staffetta”.

Anche con la Germania cominciò Mazzola e Rivera entrò nella ripresa. Si giocava in uno stadio strapieno: 102.444 i paganti. Il calcio d’inizio fu quello di una grande partita, il triplice fischio regalò una leggenda.

Sì, poi ci sarà anche la finale. La perderemo 4-1 dopo aver chiuso in parità il primo tempo. Peseranno i supplementari (per il Brasile vittoria facile con l’Uruguay) ma di fronte al capolavoro di Italiagermaniaquattroatre tutto il resto finirà in secondo piano. Non allora, però.

Al rientro a Fiumicino migliaia di tifosi attesero minacciosi il ct Valcareggi e il dirigente federale Walter Mandelli, ritenuto la vera “anima nera” di quella staffetta maldigerita dai tifosi. Lancio di pomodori e di sassi, finestrini infranti, la squadra che si rifugiò in un hangar facendo le spese di una contestazione che non era per loro. Mandelli era uscito da un’altra parte, Valcareggi era rannicchiato in fondo al cassone di un cellulare di polizia.

LA SINFONIA DI MARTELLINI

Un brutto epilogo che non cancellerà certo Italiagermaniaquattroatre. Si cominciò con gli azzurri in vantaggio dopo otto minuti con un gol di Boninsegna e poi fu quasi un monologo tedesco, con almeno cinque occasioni da gol, una traversa e una papera del portiere azzurro Albertosi che rimediò in extremis sulla linea.

Quando sembrava fatta, a tempo scaduto e con Martellini che si lamentava del recupero, arrivò il pareggio del milanista Schnellinger: «Avevo visto sull’orologio dello stadio che il tempo era scaduto e mi sono detto: che cavolo ci stai a fare in difesa? Volevo evitare il casino di fine partita. Invece mi sono trovato tra i piedi la palla di Grabowski». E da lì, con quel gol aveva dato il vero calcio d’inizio alla “partita del secolo”.

Si ripartì e segnarono ancora con Gerd Muller. Il destino sembrava sigillato ma il pareggio di Burgnich, un terzino che in Nazionale di gol ne aveva fatto solo un altro, dette un nuovo colpo di timone alla sfida. Poi il 3-2 di Riva. Sembrava fatta ma Rivera si impappinò su un corner e fece sfilare la palla, colpita ancora da Muller. Albertosi coprì di insulti il compagno che rispose: «Non preoccuparti, vado là a segno». E lo fece davvero, con un piattone meraviglioso che mette i brividi anche alla milionesima visione.

La sinfonia di Martellini venne accompagnata dalla voce di uno a bordo campo che non si è mai saputo chi fosse e che ripeteva: «Vinciamo!, Vinciamo!». E, subito dopo, dalla pennellata del telecronista: «Che meravigliosa partita, telespettatori italiani!».

Sono passati cinquant’anni e non è ancora finita, quella «meravigliosa partita», perché è la prima di una serie di sfide fra Noi e Loro tutte dolci per gli azzurri, a parte quella di Euro 2016. Anche e non solo per questo, basta chiudere gli occhi e quel capolavoro di emozioni si rivede tutto quanto senza neanche cercarlo su youtube. Sì, perché ce l’abbiamo nell’archivio più bello, quello del cuore. —

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