LA CONGREGA CRIMINALE DI CHI UCCIDE LO SPORT
No, parlare di sorpresa proprio non si può. E non solo perché doping e sport vanno a braccetto da tempo immemore; il vero problema è che negli ultimi tempi il divario ladri-guardie si è sempre più allargato, per via di una serie di fattori apparentemente slegati fra loro ma che trovano sintesi ideale nel triangolo denaro-potere-criminalità. Il giro di affari mondiale dello sport truccato è stimato in 200 miliardi l’anno, pari a quello della droga. Ed è inevitabile che interessi così forti finiscano per trovare protezioni anche insospettabili.
Il primo fattore di questo intreccio maleodorante è rappresentato dall’ingordigia di un’industria farmaceutica che produce Epo sei volte tanto quel che servirebbe per salvare vite nei casi di gravi anemie o per recuperi più veloci dopo le chemioterapie. Lo fa senza chiedersi dove vadano a finire gli altri cinque sesti di “sovrapproduzione”. A questo si collegano gli interessi delle organizzazioni criminali nella gestione dei traffici sotto traccia, e qui siamo al secondo fattore. Al quale si unisce il terzo: la carenza di controlli efficaci e regole troppo permissive nelle certificazioni di patologie che fanno diventare legale l’uso di farmaci proibiti, spesso del genere “coprente” del vero doping. Il quarto è la convenienza a sfruttare il sangue truccato da parte di enti sportivi di Paesi che utilizzano lo sport per la gestione del potere per il potere. L’attuale embargo contro la Russia, che anche alle Olimpiadi invernali avrà in gara solo atleti “senza bandiera”, è l’ultima testimonianza ma certo non sono solo quelli di Mosca i laboratori truccati.
Il quinto fattore è la debolezza dell’uomo, abilmente sfruttata da chi tesse le fila dei primi quattro. L’inchiesta di Lucca è devastante ma è solo il primo ginepraio di una foresta malefica che avvolge le discipline sportive di fatica per dilettanti, amatori e giovani. Il ciclismo è lo sport più dilaniato, perché negli anni Novanta quasi un’intera generazione era stata posta di fronte a un bivio: o ti adegui o arrivi esimo anche se sei bravo. Quella generazione ha poi dato il via a un gigantesco festival dell’ipocrisia prendendo possesso dei sedili anteriori di alcune ammiraglie e di molti microfoni delle postazioni di commento tv per riabilitare l’epoca del male e dire che «oggi comunque è meglio». Certo, perché era impossibile andare avanti con squalifiche a raffica, classifiche riscritte e premi sequestrati. Un passo avanti è stato fatto ma il fenomeno nel frattempo si è divorato anche i piani inferiori, quelli dei dilettanti dove purtroppo il morto c’è stato, estendendosi anche ai bambini, con la complicità di genitori che fanno parte della stessa genia di quelli che si picchiano alle partite di calcio e che vedono i figli come carne da soldi. L’Italia è al secondo posto fra i Paesi con il maggior uso di sostanze dopanti ma ha anche controlli migliori rispetto ad altre realtà. Il peggiore disastro è in quella congrega di devastatori dello spirito dello sport amatoriale che non esita a riempirsi di schifezze o aiutini all’ombra di un salutismo peloso e devastante. C’è un dato che fa riflettere: un terzo degli atleti amatori fa uso sistematico di antidolorifici e antinfiammatori. Quando va bene per vincere un cesto di prosciutti o un buono benzina.
Certo, deve stupire il fatto che a distanza di 33 anni il record mondiale dei 400 metri donne sia ancora l’inavvicinabile 47”60 di Marita Koch, rappresentante di quella Germania Est che viveva di sangue marcio facendola franca. Ma qualcosa si dovrà pur dire anche di certe medie orarie di corse amatoriali con 50enni che pedalano a velocità proibitive anche per i prof. Le parole del procuratore di Lucca, Pietro Suchan («Chi sa, venga qua e parli») devono far riflettere. Siamo all’emergenza.
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