Le memorie di Bottecchia finalmente in italiano

L’autobiografia del campione, scritta nel 1924, non era ancora stata tradotta Una storia affascinante, i valori di un grande uomo. Prefazione di Davide Cassani
Di Giacinto Bevilacqua

PORDENONE. «Non ho mai corso usando prodotti eccitanti o stupefacenti. Invece i miei occhi hanno sofferto moltissimo a causa della polvere». Sono parole di ciclista d’altri tempi, di un grande campione del pedale e di un uomo tutto d’un pezzo, forgiato alla scuola della fatica e della miseria ma talmente dignitoso da dire no alle lusinghe del fascismo.

Ottavio Bottecchia, il più grande atleta che Pordenone possa vantare, continua ad affascinare per il carico di valori ai quali il suo ricordo rimanda. È quanto mai interessante, dunque, la lettura de “Le memorie di Bottecchia”, volumetto curato dalla giornalista pordenonese Giuliana Vittoria Fantuz, edito dall’associazione Stories.Fvg e impreziosito dai disegni di Alice Migotto e dalla prefazione del ct della nazionale italiana Davide Cassani. Si tratta della traduzione dal francese de “Le memorie di Bottecchia raccontate da lui stesso e dal sua amico Panosetti”. L’autobiografia, assistita dal massaggiatore toscano Panosetti, uscì in Francia nel 1924. Il racconto nasce dall’infanzia di Ottavio, trascorsa a San Martino di Colle Umberto, in provincia di Treviso. Conclusa la “carriera” scolastica dopo due soli inverni, dopo aver lavorato nei campi, a 12 anni Bottecchia fece il calzolaio, quindi l’impastatore di calce e il carrettiere per la segheria Lacchin di Sacile. Nel maggio 1915, a 21 anni, fu arruolato fra i bersaglieri e intruppato nel corpo speciale degli esploratori d’assalto sul fronte del Trentino. «Di giorno eravamo le sentinelle che custodivano valichi e vie del Carso e del Trentino, di notte, a gruppi die due o tre, partivamo in cerca di passaggi non occupati o sconosciuti alle truppe austriache attraverso i quali fosse possibile tentare un colpo di mano o provocare un attacco – scriveva Bottecchia –. I mie veri esordi nella carriera ciclistica risalgono alla mia permanenza in quel corpo militare in cui tutti avevamo a disposizione una bicicletta».

Tre volte catturato, riuscì sempre a fuggire, meritandosi la medaglia di bronzo al valore militare per l’eroismo dimostrato a Lestans nel coprire la fuga ai compagni. Bottecchia rimase umile anche una volta diventato celebre e ricchissimo dopo aver stravinto il Tour de France del 1924, indossando la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa, rifiutò le avance dei più prestigiosi team italiani. «Rifiutai quelle proposte lusinghiere perché non avevo alcuna ragione per rimangiarmi la parola con coloro che mi avevano dato fiducia quando, sconosciuto, debuttati in Francia. Quando leggerete queste righe sarò già rientrato in Italia, nel mio paesino di Pordenone, per godere di un ben meritato riposo accanto a mia moglie, alla mia figlioletta Fortunata Vittoria e ai miei 25 nipoti».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto